Ulivi per ricordare i 7 braccianti morti che lavoravano a Campomarino

La strage di Ripalta ven 10 agosto 2018
Cronaca di La Redazione
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L'intervista apparsa su Repubblica ©Termolionline.it
L'intervista apparsa su Repubblica ©Termolionline.it

CAMPOMARINO. Solo sette dei 12 migranti che hanno perso la vita lunedì scorso sulla statale 16 sono stati riconosciuti ed erano tutti impiegati in un’azienda agricola di Campomarino, quella gestita dai fratelli Di Vito. A dichiararlo è stato il padre 67enne dei due imprenditori agricoli.

Anche la Procura di Larino aprirà una indagine, secondo il giornalista di Repubblica Giuliano Foschini, inviato a Campomarino, anche se non risultano indagati al momento.

«Li avevo visti in faccia pochi minuti prima, hanno messo le mani nella mia terra – ha riferito Di Vito senior – al telegiornale ho visto quel pullman e ho capito tutto. Ho provato a chiamare il ragazzo, Lassad, non mi ha risposto – riferendosi al presunto caporale – penso che non si possa parlare di caporale, è vero, organizzava il trasporto, noi ci rivolgevamo a lui per avere la manodopera ma semplicemente perché conosceva i ragazzi che noi assumevamo. Si spaccava la schiena insieme a noi, anche l’altra mattina. Io sono pensionato ma sono andato a dare un occhio.

Lavorava con loro». Pur avendo solo 7 ettari di pomodori, rispetto a una più estesa produzione di olio, hanno voluto offrire lavoro, piuttosto che lavorare con le macchine per la raccolta degli ortaggi. Di Vito conferma anche che tutti erano assunti, ammettendo che viaggiassero in condizioni assurde. Sulle condizioni di vista dei braccianti di colore – quasi un gioco di parole col loro cognome – il 67enne imprenditore agricolo se la prende col sistema. «Ma che colpa abbiamo noi? Sono altri che dovrebbero intervenire. Chi si chiede come sia possibile che la salsa costa 40 centesimi?». Ora a raccogliere i pomodori saranno le macchine.

«Sarebbe irrispettoso non raccoglierli, per la terra e per chi ci ha lavorato. Io ho cercato di trattarli sempre al meglio possibile. Mi piacerebbe andare ai funerali, ma non so dove si faranno. Pianterò qui attorno sette ulivi perché questa azienda non si deve dimenticare di quei ragazzi: gli ulivi hanno radici forti. Sarà una maniera per credere che la morte è solo un passaggio». Giovanni Di Vito ha spiegato che sono agricoltori da sempre, mezzo secolo con le mani sporche di terra e che conoscono poche parole, tra cui dignità, mai mancata in quei poderi.

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