Avvenimenti della Grande Guerra e il primo colpo di fucile delle Fiamme gialle

Pagine di storia lun 06 novembre 2017
Cultura e Società di Gerardo Minchillo
6min
Il primo colpo di fucile delle Fiamme Gialle ©Gerardo Minchillo
Il primo colpo di fucile delle Fiamme Gialle ©Gerardo Minchillo

TERMOLI. L’Italia entrò in guerra nel primo conflitto mondiale contro l’Impero Austro-Ungarico il 24 maggio 1915 mobilitando sia il Regio Esercito con a capo il generale Luigi Cadorna e sia la Regia Marina con a capo l’ammiraglio Paolo Emilio Thaon di Revel definito “l’Ammiraglio della Vittoria”.

Dopo la disfatta di Caporetto combattuta dal 24 ottobre al 19 novembre 1917(di cui quest’anno ricorre il centenario), il Regio Esercito Italiano subì un radicale cambiamento nell’assetto organizzativo grazie al suo nuovo comandante in capo Generale Armando Diaz definito il “Duca della Vittoria”, in sostituzione del generale Cadorna considerato il principale responsabile dell’immane sconfitta.

Come il Regio Esercito e la Regia Marina, anche la Guardia di Finanza diede un sostanziale contributo a questa guerra con la mobilitazione di 18 battaglioni più tutto il naviglio per il controllo sia costiero che di supporto alla Regia Marina.

Fu principalmente grazie alla sinergia di tutti questi uomini e mezzi che l’Italia raggiunse la meritata “Vittoria” sull’Austria avvenuta il 4 novembre 1918 a Vittorio Veneto.

I primi colpi di fucile che diedero l’inizio della Grande Guerra vennero esplosi alle ore 22.40 del 23 maggio da due finanzieri sul ponte di Brazzano, sul fiume Judrio (Cormons).

All’epoca la linea di confine dell’Italia orientale, passava proprio per questo tratto, e la distruzione di questo ponte, significava impedire il transito dei reggimenti di fanteria del nostro esercito verso le postazioni nemiche austriache.

La vigilanza di questo ponte, non poteva che essere affidata alla Regia Guardia di Finanza, di cui facevano parte i due finanzieri “vedette insonni del confine”: Costantino Carta e Pietro dall’Acqua, i quali avvertendo strani rumori in prossimità di esso, esplosero tempestivamente con il fucile mod. 91 alcuni colpi mettendo così in fuga una pattuglia di guastatori dell’esercito austriaco intenti a minare la struttura di sostegno del ponte.

Dopo soli tre giorni dall’inizio della guerra, e precisamente il 27 maggio 1915, il XVII° battaglione della Regia Guardia di Finanza, affiancato dal II° battaglione del 114° reggimento fanteria - Brigata Mantova, conquistava “ALA” la prima città austriaca del Trentino.

Mentre sul ponte di Brazzano venivano esplosi i primi colpi di fucile della Grande Guerra, alle ore 03.55 del 24 maggio, dal Forte Verena, altopiano di Asiago, veniva esploso da parte del Regio Esercito Italiano, il “primo colpo di cannone” nel settore nord-occidentale del fronte.

L’armamento principale del forte, erano i quattro cannoni da 149 mm. tipo “Schneider”, la cui gittata(circa 20 km.) era tale da raggiungere facilmente il nemico.

Ma purtroppo il destino fu dalla parte del nemico, infatti il 12 giugno 1915 dopo circa

20 giorni dall’inizio delle ostilità un colpo di mortaio esploso dalle artiglierie austriache, perforarono la corazza protettiva, facendo esplodere la polveriera. Lo scoppio provocò sia la morte del comandante tenente del Regio Esercito Trucchetti Umberto che di altri 40 fanti.

Il forte Verena venne occupato definitivamente dall’esercito austriaco il 22 maggio 1916 durante la famosa Strafexpedition, (spedizione punitiva) e utilizzato fino alla fine del conflitto come osservatorio.

Il mese successivo e precisamente il 14 giugno 1915, sul monte Pal Piccolo (Carnia), cadde colpito dal fuoco nemico, il maggiore della Regia Guardia di Finanza Giovanni Macchi, eccellente e valoroso militare del Corpo.

Nato a Novara di Sicilia(Messina) l’8 gennaio 1871, allo scoppio della guerra, gli venne affidato il comando del XX battaglione mobilitato sul confine orientale.

Infatti, nel momento in cui le artiglierie nemiche, iniziarono a fare fuoco, egli si portò per primo ove maggiore era il pericolo, e imbracciato il fucile, animò i suoi pochi uomini a resistere sulla linea del fronte, fino a quando cadde mortalmente colpito da una fucilata alla fronte.

Per tale atto di eroismo gli venne concessa la medaglia d’argento al valor militare alla memoria avente la seguente motivazione:

“In un momento critico del combattimento, quando gli effetti micidiali delle artiglierie avevano resa poco tenace la resistenza delle truppe, portandosi primo ove maggiore era il pericolo, nobilissimo esempio di altruismo con frase imperiosa e parola elevata incitò i pochi dipendenti a tornare sul fronte rimanendo fermo sul posto, nonostante l’accerchiamento nemico, fino a che cadde mortalmente ferito alla testa ”

Durante quelle cinque ore di combattimento caddero sessantotto finanzieri, mentre i feriti furono 176.

Il corpo del maggiore Macchi venne recuperato solo alcuni mesi più tardi, e sepolto accanto ai suoi uomini nel cimitero di guerra del Timau (Carnia).

Lo scrittore Flaminio Adamo della rivista “Fiamme gialle d’Italia” del 1926, descrisse metaforicamente questa azione eroica attraverso il seguente racconto (alcuni accenni):

IL PIAVE

(Fiume sacro alla Patria)

E’ già un po’ di tempo che miro il fondo del fiume, ma io non vedo le acque che scorrono sotto i miei occhi.

No, non vedo le acque, ma una bianca figura che lentamente prende forma.

Ecco, ora la distinguo bene. Discerno la sua faccia cadaverica, le sue membra a brandelli, le sue ossa quasi staccate. Ora comprendo: è un fante, è un eroe!.. ecc.ecc.

Solo una figura complessa giganteggiava allora nella mia mente e non ne andrà più via:

Giovanni Macchi, l’eroe delle Fiamme Gialle, alla testa dei duemila gloriosi Finanzieri caduti!

Triste e glorioso corteo!

Con la disfatta di Caporetto, l’Esercito Italiano duramente provato e demoralizzato, si ritirò fino al fiume Piave. Gli austriaci fecero prigionieri circa 300.000 soldati italiani di cui ad esempio circa 3500 tra ufficiali e soldati vennero internati nel campo di prigionia di “Celle” (uno dei più grandi della prima guerra mondiale) situato a pochi chilometri da Hannover(Germania). Le condizioni di vita del Lager erano disumane causate principalmente dal freddo, dalla fame e dagli eccessivi lavori forzati. Ciò provocò una graduale perdita di identità riacquistata solo a partire dai primi mesi del 1918, quando iniziarono ad arrivare i primi aiuti da parte delle famiglie dei prigionieri.

I primi segnali della riscossa dell’Esercito Italiano, si iniziarono a verificare quando il Comando Supremo dell’Esercito Italiano, mobilitò la giovane classe del 1899 chiamati “Ragazzi del ’99” il cui spirito giovane(avevano appena 18 anni) e combattivo, fu tale da condurre l’Italia alla grande Vittoria finale con la battaglia di Vittorio Veneto.

La maggior parte di questi semplici soldati erano di ceto medio-basso “contadini- analfabeti”, i quali per la prima volta, si vennero a scontrare con una realtà lontana dalle loro semplici abitudini; soldati catapultati in una guerra di posizione, dentro trincee scavate per decine e decine di chilometri in condizioni di vita disumane ed estreme.

La Posta Militare, era l’unico mezzo di comunicazione con la famiglia, era una semplice corrispondenza fatta di lettere e cartoline in franchigia, passate obbligatoriamente per la censura che ne controllava il contenuto.

Quindi si intuisce che c’era il divieto assoluto di parlare sia del servizio che del luogo dove il militare era impiegato, infatti nelle intestazioni della corrispondenza, si indicava la dicitura generica “Zona di Guerra”.

Per tutta la durata del conflitto, circa quattro miliardi tra lettere e cartoline circolarono tra i soldati e i loro familiari.

Molte altre furono le azioni in giallo verde durante la Grande Guerra; è da ricordare una in particolare tale da meritare l’appellativo “finanzieri di ferro” del poeta soldato Gabriele d’Annunzio durante la presa di Fiume del 1920.

Infatti per il loro grande impegno e determinazione nel collaborare con gli altri legionari fiumani, d’Annunzio in un suo celebre discorso disse: “ce ne vorrebbe di gente di questa stoffa”, e nell’occasione, coniò la frase in latino: “Nec Recisa Recedit” (neanche spezzata retrocede) che, dal 1933, divenne il motto ufficiale della Guardia di Finanza.

La Grande Guerra terminò con la conquista di Trento (il tricolore italiano per la prima volta sventolò sul Castello del Buon Consiglio dove nel 1916 fu impiccato il patriota Cesare Battisti) e Trieste, e rappresentò l’ultimo atto dell’unificazione italiana (quarta guerra d’indipendenza).

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