La famiglia reale D'Angiò e la vendita di Termoli
TERMOLI. La storia scritta di una città non appartiene alla categoria delle cose definitive. La ricerca può sempre riservare delle sorprese che gettando nuova luce su un periodo o su un evento, e colmandolo, ne delimitano la incompletezza. Una presa d’atto derivata da tre pergamene, trovate per caso e per fortuna nell’Archivio Storico Capitolino di Roma, riguardanti Termoli durante il periodo angioino.
Il 9 luglio del 1384 a Barletta venne steso un atto di vendita della città di Termoli, a cura del giudice per i contratti a vita per il Regno di Sicilia, del pubblico notaio in terra d’Otranto e di Bari e alla presenza di otto testimoni, da parte di Carlo III.
Carlo d’Angiò-Durazzo, re di Sicilia dal 1382 al 1386, come i predecessori e quelli che gli succedettero, non ebbe vita tranquilla per le rivendicazioni più o meno legittime e per gli intrighi tramati all’interno della stessa famiglia un cui componente, Luigi I d’Angiò, fratello del re di Francia, aspirava alla corona.Nel 1384, consapevole dell’aiuto che avrebbe avuto da conti e baroni locali ostili a Carlo di Durazzo, invase il regno con le sue truppe ma la guerra non durò a lungo perché Luigi I morì.
Per difendere se stesso e il regno Carlo III dovette assoldare capitani e militi esperti nell’arte della guerra, come il “nobile Alberico da Barbiano, conte di Cuneo e capitano della compagnia di San Giorgio”, e i suoi “mille lancieri” unitamente ad “altri eserciti” per il cui pagamento le entrate del regno non erano sufficienti. Quantunque la guerra fosse terminata il Re rimase debitore nei confronti dei mercenari assoldati e in particolare del “conte Alberico e dei suoi caporali” e dell’intera compagnia. Avendo le casse vuote a Carlo III non rimase che mettere in vendita “città, terre a castra demaniali”: da qui la decisione di alienare la città di Termoli, nella giurisdizione della Capitanata, il cui territorio confinava con quello del borgo di Petacciato, con
le terre di Guglionesi e con quelle di Campomarino.
L’atto contiene una minuziosa descrizione della vendita della Città e dei suoi beni, (persone, animali, oliveti, vigne, alberi, prati, pascoli, boschi e corsi d’acqua) compresi i diritti portuali, a favore di Ugolino de Ursinis, acquirente trovato “tramite alcuni mediatori”.I sedicimila ducati d’oro, prezzo convenuto, vennero consegnati dallo stesso Hugolinus nelle mani del re Carlo.
Il contratto non comprendeva la cessione di alcuni diritti di natura feudale come la “colletta generale” e altri derivanti da antiche consuetudini i quali, inalienabili, rimasero nella disponibilità del Sovrano.
Termoli, già in declino, come tutte le altre città del Meridione, per il pervasivo e pesante sistema fiscale introdotto dai d’Angiò e per i diritti conservati da Carlo III, a seguito della tassazione introdotta dal nuovo padrone accelerò il processo di involuzione nel quale era stata precipitata, sia per quanto riguardava la ricchezza derivante dai commerci marittimi che la popolazione: i 970 fuochi (circa 5.000 abitanti) registrati nel 1320, al tempo di Carlo III si erano infatti ridotti a meno della metà.