Una giustizia "fai da te", il silenzio di una comunità

gio 02 febbraio 2017
Editoriale di Giovanni Perilli
2min
Una giustizia fai da te, il silenzio di una comunità ©n.c.
Una giustizia fai da te, il silenzio di una comunità ©n.c.
Una giustizia "fai da te", il silenzio di una comunità
TERMOLI. La cronaca racconta un fatto. Un episodio terribile che esalta dolore e sofferenza, odio e rivalsa, giustizia e attesa. Via Perth è stata teatro e sintesi d’un senso comune, d’un odio amplificato dai social network, d’un gesto da archiviare subito perché frutto di tanta, troppa spiazzante auto-giustizia. È giusto? È errato? O è tutto semplicemente da capire? Il dibattito è aperto e ogni pagina dei quotidiani nazionali, ma anche i post di molti profili hanno issato frasi di presunta giustizia e verità in seno a quanto accaduto. Siamo alla stregua del “fai da te”, all’apoteosi del “mi sostituisco alla legge”. Al selvaggio west “da capire”, comprendere e non giustificare; c’è chi s’è messo in quei panni e si è trasformato da vittima a carnefice. I tempi della giustizia sono quel che sono ed è duro attendere, è impossibile affrontare un dolore. Allora il campo si apre ai buonisti, ai tanti che raccontano dell’esigenza di essere forti. Dell’impegno a dovercela fare, al dover andare avanti e “fidarsi” di chi segue iter talvolta farraginosi. Il tutto immersi nel classico scenario di una stampa troppo spesso chiamata a gridare ragioni e di lettori abituati a confrontarsi con presunte ingiustizie. Tre vite spezzate, l’una da un’auto, l’altra da una pistola e l’altra ancora dalla sofferenza che conduce all’estremo gesto. La giustizia è una trappola. Un punto di non ritorno che se ricercato con insistenza diventa un mezzo per influenzare il proprio stato d’animo. È un’idea astratta che accantona il perdono e allontana la ricerca della felicità. Quella vera e che libera davvero. Quanta utopia in queste parole. Ma come puoi dire, alla vittima di una tragedia, di accettare quanto accaduto? Con che linguaggio ti rivolgi a chi si vede tagliare il domani sotto la forza di un’auto e a chi, dall’altro lato, vede lo spettro della fine del suo futuro dietro e dentro il corso della legge? Omicidio stradale: anticamera del dolore. Sei poi chiamato a “dare un senso”, a intessere ragione e speranza, giustizia e forza, ma i nodi sono troppo e se perdi l’appiglio, perdi tutto. La comodità di ricorrere a Dio diventa imperante e, solo se si è inclini a credere in qualcosa, si ha la forza di attendere. Si ha la capacità di afferrare la giustizia nel suo essere, quella bilancia che mette alla pari quel che accade con quel che non sarebbe dovuto accadere. Senza giustizia, la vita cadrebbe nel caos, così come accaduto a via Perth. Senza giustizia la società diventa una giungla intrisa d’alberi di ferocia e spine di crudeltà. Senza giustizia vige il “diritto del più forte”. Quanto accaduto a Vasto sembra una tragedia scritta dal buon Dumas. Una di quella che intreccia esistenze, famiglie e il senso della vendetta. Quella che, per alcuni, altro non è che una forma di giustizia. Chi ha vinto in questa storia? Nessuno, nessuno davvero. C’è gente che da ieri piange due volte, c’è una società che ha perso. È impossibile non condannare quest’uomo, è ancor più difficile farlo.

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