Lupara, da oltre due secoli si rinnova la festa di Sant'Antonio da Padova

ven 20 luglio 2018
Flash News di La Redazione
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Lupara ©Comune.lupara.cb.it
Lupara ©Comune.lupara.cb.it

LUPARA. Da oltre 2 secoli ogni 22 luglio la comunità di Lupara rinnova e rievoca l’antica festa di San’Antonio da Padova.

Come vuole la tradizione la statua di legno del Santo rovinata dai tarli fu sostituita con una nuova statua. Puntualmente per alcuni anni il 13 giugno, quando la processione era pronta per uscire dalla Chiesa pioveva a dirotto. La gente di Lupara cominciò a interrogarsi per lo strano evento, e si pensò che Sant’Antonio rivolesse la sua vecchia statua che era stata inviata a Napoli per il restauro. Era il 22 luglio e terminato il recupero dell'opera la statua venne ricondotta a Lupara.

La gente che mieteva e raccoglieva il grano nei campi, appresa la notizia, lascio’ il lavoro per andare incontro al Santo, portando gli attrezzi di lavoro che aveva in mano e gli animali con i quali trasportava il raccolto. Il carro che trasportava la statua fu costretto a fermarsi a circa un chilometro dal paese per la moltitudine di persone e di animali che ostacolavano il passaggio.

Da allora, ogni anno si ripete la processione che parte dal Paese dopo la celebrazione della Messa, per trovarsi alle 13.30 “all’are” di Sant’Antonio. La grande commozione e partecipazione dei luparesi che tornano da tutto il mondo per partecipare fanno di questa festa uno dei riti molisani legati alla terra più antichi e più sentiti.

Tra i momenti più toccanti della giornata quando nel corso della processione le coppie di buoi addobbati con stoffe colorate si inginocchiano davanti alla statua del Santo protettore degli animali.

Il carro che trasporta la statua del Santo infatti è tirato da una coppia di buoi. Un tempo i proprietari facevano a gara a chi offriva più tomoli di grano per avere il privilegio di trasportare la statua. Da qui la rievocazione dell’asta in cui personaggi del paese interpretano con grande veemenza e maestria attoriale il ruolo dei proprietari terrieri della stessa contrada o legati tra loro da vincoli di parentela che si battono per aggiudicarsi il trasporto del Santo.

La processione parte dalla Chiesa, attraversa il borgo antico, oltrepassa l’arco della taverna, fin qui la statua viene portata a spalle, poi poggiata sul carro tirato dai buoi. Vengono addobbate anche le “traglie”, ovvero carri piccoli e grandi. Le traglie piccole vengono tirate dalle capre anch’esse vestite a festa.

La processione raggiunge la piazza ed è qui che avviene il momento culminante della gara tra i proprietari dei buoi. Decretata la vittoria con uno scroscio di applausi, la processione avanza lentamente: davanti alla statua si sistemano i fedeli “manuocchje” e “i meteture”.

Ancora oggi molte donne vestite con gli abiti tradizionali, portano sulla testa i canestri di grano, pane, enormi biscotti dolci, fiaschi di vino, fiori, immagini del Santo. Dietro la statua ancora oggi segue una lunghissima fila di mezzi, e carri di legno carichi di covoni di grano e di spighe.

Appena raggiunta l’aia il sacerdote benedice animali e mezzi con i loro carichi. In pochi minuti viene allestita e sistemata “la mète”. Durante l’allestimento i connazionali che sono tornati dall’estero cercano di avere alcune spighe di grano per riportarle a familiari e amici che non hanno avuto la gioia di essere presenti alla festa. La processione poi riparte non solo accompagnata dalla banda, dalle preghiere, dai canti popolari, e da uno scampanio continuo di campane. Al termine della processione davanti alla Chiesa vengono benedetti i canestri portati dalle donne durante tutto il tragitto.

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