Il Sud cresce, ma il Molise che fa?

Diamo i numeri mar 17 aprile 2018
Lavoro ed Economia di Claudio De Luca
3min
Sud ©Wikipedia
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LARINO. Secondo gli esperti il Sud sta mostrando di avere un sistema imprenditoriale robusto da cui le aziende, per effetto della crisi, sono uscite riprendendo ad investire. Il rapporto Pmi 2018 di Confindustria, Cerved ed Srm analizza lo stato delle imprese tra 10-250 addetti (26 mila, con un fatturato di oltre 130 miliardi di euro e un valore aggiunto di quasi 30 miliardi). Dopo la flessione registrata degli anni 2007-‘14, il sistema è tornato a svilupparsi a ritmi superiori a quelli nazionali (+4,1% rispetto a +3,6%), ritornando su livelli fisiologici, grazie al netto calo dei fallimenti, delle procedure concorsuali e delle chiusure volontarie. Aumentano le nuove imprese di piccolissima dimensione; nello stesso tempo, è cresciuta la quota di quelle con minore potenzialità di radicarsi e crescere.

Per il 4° anno consecutivo aumentano il fatturato (+2,7%), che cresce più della media nazionale (+2,3%). Il valore aggiunto è cresciuto a tassi superiori a quelli dei ricavi (+4% tra 2016 e 2015) ma inferiori a quelli del costo del lavoro. Insomma la redditività lorda è migliorata, con una tendenza in rallentamento sull'anno precedente e ad un tasso più basso rispetto a quello calcolato per il complesso delle pmi italiane (+3,6%). Nonostante la ripresa degli ultimi anni, rispetto al 2007 hanno perso oltre 30 punti di mol (un divario maggiore di 9 punti percentuali rispetto alla media italiana). Ma come si pone il Molise in questo quadro? Gli esperti non citano questa regione in alcun modo, quasi che manco partecipasse agli sforzi compiuti dagli altri proprio quando migliora la sostenibilità del debito delle pmi meridionali. Il rapporto tra debiti finanziari e capitale netto continua a scendere (i primi sono ora pari al 91% del secondo), grazie ad una ripresa del processo di capitalizzazione. “L'uscita dal mercato delle pmi più fragili, la maggiore capitalizzazione di quelle sopravvissute, il minor peso degli oneri finanziari, le abitudini di pagamento più virtuose sono segnali univoci, che confermano il lento ma progressivo irrobustimento del tessuto imprenditoriale meridionale. Le imprese sopravvissute sono oggi più solide e «la loro affidabilità creditizia lo testimonia”. Insomma, dal rapporto emerge che hanno raggiunto quota 48,4% (quasi la metà) le imprese che, in base al «Cerved Group Score», sono considerate sicure o solvibili. Mentre scendono dal 39,9 al 35,4% le aziende considerate vulnerabili.

Per quanto riguarda l'industria, il numero di pmi al Sud si è ridotto drasticamente (da 6.330 a 5mila unità) e le imprese del settore vengono sinteticamente definite «poche ma buone», risultano più capitalizzate e più solide delle altre società. Gli investimenti accelerano in tutte le regioni meridionali, in particolare nelle imprese industriali. Per la prima volta crescono al Sud più della media nazionale: nel 2015 erano pari infatti al 5,9% delle immobilizzazioni materiali; nel 2016 salgono all'8,5%. Ancora meglio fanno le imprese industriali, i cui investimenti superano il 10% delle immobilizzazioni in Campania, Puglia e Sicilia. La capacità imprenditoriale non manca; e, in tal senso, un ruolo cruciale è svolto dall'accesso di quelle a fonti di finanza esterna. Molte le opportunità che possono arrivare dalle risorse europee e da strumenti nazionali di recente introduzione (Zone economiche speciali (Zes) e Fondo Imprese Sud. Per quanto riguarda il Molise l’economia è stagnante, con una bassa partecipazione alla forza-lavoro (in cui le donne hanno un ruolo secondario), per lo più tenuta a galla dalla spesa pubblica. Quella delle Amministrazioni statali e locali, al netto degli interessi, è aumentata di 1/4 dal 2003-‘05 in poi, con conseguente triplicazione del debito tra il 2002 ed il 2011.

La natura clientelare di questa massa di danaro pubblico viene posta in evidenza dalla concentrazione della spesa nel settore sanitario e dalla scarsità degli investimenti. Il grosso dell’occupazione è operativo nei servizi, come sarebbe normale in un’economia avanzata; ma, purtroppo, qui la quota di impiego pubblico è abnorme. Le poche imprese private hanno una redditività prossima allo “0” (ma solo nelle annate “buone”). Solitamente, distruggono valore, mostrando livelli di indebitamento in crescita pressoché costante che - negli ultimi anni - hanno determinato sofferenze sempre maggiori, in parte pure perché il settore bancario pratica tassi sproporzionatamente alti rispetto al costo delle provviste richieste. La regione ha sofferto per le vicende della “ITR” che, un tempo, era il 4° Gruppo tessile italiano. Resiste solo il turismo

Claudio de Luca


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