Ma davvero si chiama riqualificazione del centro storico?

lun 25 settembre 2017
Lettere al direttore di Emanuele Bracone
2min
Ma davvero si chiama riqualificazione del centro storico? ©n.c.
Ma davvero si chiama riqualificazione del centro storico? ©n.c.
Solo qualche considerazione. E’ stato giustamente definito “ingegneria neutrale” quel modo di fare che tiene conto soltanto delle normative e delle indicazioni date dai manuali di scienza delle costruzioni. Indipendentemente dai motivi per cui si costruisce perché, in fin dei conti, calcolare una trave o un pilastro è uguale per una scuola e per una galera, per una casa regolare come per una abusiva. Capisco che le occasioni di lavoro vadano prese a volo ma non perché si è progressisti piuttosto che conservatori. Nel caso di Termoli (ripeterlo è stucchevole ma è necessario) non si tratta di sostenere lo “sviluppo” o negarlo. Esistono sviluppi buoni e altri meno buoni, sviluppi che fanno bene alla città e sviluppi che invece fanno bene soltanto a pochi. I “no” al progetto termolese non sono emotivi ma provengono da una diversa maniera di intendere lo sviluppo, uno sviluppo che sia più attento alla gente e non a quelli che sulla gente prevedono di fare affari. Conservatorismi politici o culturali? Non scherziamo! In Italia qualcuno si è inventato il “partito del fare” e ha provocato una valanga di danni perché il fare per il fare può essere molto dannoso. Certo, l’intervento (mi rifiuto di chiamarla riqualificazione che è tutta un’altra cosa) di piazza S. Antonio e annessi commerciali privati potranno essere una buona occasione per far lavorare un po’ gente per un po’ di tempo e poi? Poi ci sarà un grande parcheggio a servizio di un centro commerciale e di pochi imprenditori più svegli. Quelli che sono contrari a questo progetto credo ritengano che la città abbia bisogno di interventi diversi, più piccoli, finalizzati e socialmente gestibili (che potrebbero anche assicurare occupazioni più ampie e durature), e non un mastodonte di dubbia utilità. Un intervento che, a guardare bene, non mi pare sia la manifestazione di una modernità urbanistica e architettonica ma costituisce piuttosto la riproposizione, aggiornata in quanto ad alcune soluzioni compositive e scelte di materiali, della vecchia e mai tramontata bella speculazione edilizia sulla quale si è prevalentemente basata la crescita moderna delle nostre città (e che si intende comodamente “conservare”). Faccio un esempio (estremo ma che penso possa rendere l’idea). L’Italia “ripudia la guerra” come dice la Costituzione ma è una delle più grandi produttrici di armi al mondo (giustificate dal fatto che assicurano un certo numero di posti di lavoro). Non dico che le fabbriche vadano chiuse, penso però che bene sarebbe che queste fabbriche invece di fare mine antiuomo si convertissero a fare qualcosa di meno criminale e più utile. Luigi Marino Ps: Lo studio americano mi ha incuriosito molto e un po’ meravigliato. Io conosco tanti termolesi che rientrano nella categoria di “conservatori” ma devo dire che tutti questi ordinati musei a casa loro non li ho mai notati. Non di rado, però, ho visto ricche biblioteche e relazioni telematiche tenute in costante aggiornamento. Indagherò meglio.

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