Pierpaolo Pasolini e l’antifascismo

mar 20 marzo 2018
3min
Pierpaolo Pasolini e l’antifascismo ©http://alfredodecclesia.blogspot.it
Pierpaolo Pasolini e l’antifascismo ©http://alfredodecclesia.blogspot.it

TERMOLI. Pierpaolo Pasolini e l’antifascismo.

Premetto che faccio questa riflessione (e ne scrivo) prima delle elezioni politiche e delle successive deliranti analisi, ma preferisco parteciparla a chi ha la pazienza di leggerla, solo dopo le stesse, per non “inquinarla” con pregiudiziali considerazioni di corto respiro strumentale.

“Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso: spingere le masse a combattere un nemico inesistente mentre il consumismo moderno striscia, si insinua e logora la società già moribonda”.

Da “scritti corsari”: Pierpaolo Pasolini ad Alberto Moravia, 1973

Devo premettere (fuori dal coro) che sono convinto che il “non esiste più destra e sinistra” sia solo un alibi per obnubilare le menti (laddove credo che esistano valori e sensibilità diversi, con la possibilità di schierarsi e, direi di più, la necessità di farlo); ed inoltre non voglio cadere nel tranello dell’incombente “pensiero unico e populista”.

Fatta questa premessa devo dire che le parole di Pierpaolo Pasolini mi fanno sorgere il sospetto di aver camminato sino ad oggi su sentieri che a questo punto mi fanno venire il dubbio di dover essere ripercorsi con maggiore attenzione e consapevolezza per non correre il rischio di “scivolare”.

In una società così divisa e divisiva, laddove ed allorquando la Cultura viene sempre più appiattita su sterili conoscenze, alimentate da uno sciagurato e strumentale modo di fare informazione, di tutto si sente il bisogno per uscire da questo clima di astio ed intolleranza tranne che di questo rinfocolare un “nemico” che, a modestissimo parere di chi scrive (pur a conoscenza dell’esistenza di cellule violente ed intolleranti), non c’è nella misura di possibili derive dittatoriali.

Consapevole di non essere esaustivo, ritengo che le sole analogie con le radici fasciste del passato trovano oggi efficaci antidoti, sconosciuti all’epoca; a)- la crisi economica: certamente oggi travolgente per alcune categorie, non ha il carattere generalizzato degli anni che portarono al fascismo e si inquadra in un contesto di un indubbio maggiore benessere (senza dire che oggi vi sono strumenti efficaci di intervento governativo, pur gestiti politicamente nel fissarne le priorità, che ne possono attenuare le conseguenze); b)- contrasti e fratture sociali: sono evidenti, ma anche grazie ai mezzi attuali di informazione e denunzia, consentono allo Stato di diritto di prenderne atto e di intervenire (bisogna, pertanto, indignarsi alle ingiustizie, denunziare,manifestare e partecipare, mai rassegnarsi); c)- l’instabilità di governo e parlamentare: questo terzo punto potrebbe, in effetti, essere una criticità con pericolose analogie con il passato; ma anche sotto questo profilo prevalgono senz’altro la sensibilità sul tema ed il senso di responsabilità.

Con modesta convinzione, credo, quindi, che i valori fondanti dell’unità europea (non certamente intesa con le sue attuali disfunzioni finanziarie), i valori figli della Resistenza partigiana e la maggiore Cultura (non dimentichiamo il grado di analfabetizzazione dei primi decenni del novecento) siano scudi contro derive dittatoriali e ritorni al passato.

Credere il contrario comporta un duplice rischio: innanzitutto l’incremento di divisioni che stanno scivolando verso violenti intolleranze che, unitamente all’eccessivo ricorso alla “delega in bianco” del cittadino alle istituzioni, non portano a nessun’altra parte se non ad un punto di non ritorno verso un decisionismo poco democratico ed illiberale e con la conseguenza che valori quali la solidarietà, la giustizia sociale, la difesa del bene comune possono ben essere chiusi in un cassetto e amen; il secondo rischio è l’impotenza di fare della Cultura un motivo di crescita e, soprattutto, di libertà.

Ed è, appunto, questo ultimo aspetto che, in uno con le parole di Pasolini, fa sorgere in me dubbi e perplessità: non vorrei essere stato sino ad oggi oggetto e strumento della volontà di “vincolare il dissenso”; vado convincendomi che se pericolose cellule violente e reazionarie si stanno insinuando nella società, queste vanno “spente” e “combattute” con una capillare operazione Culturale, in tutte le sedi istituzionali, sociali e civili, sensibili alla storia ed alla giustizia, accompagnati da un necessario salto di qualità anche dei mezzi di comunicazione che, senza necessità di manipolare certi avvenimenti, potrebbero farne oggetto di cronaca, non di divulgazione (con il pericolo di legittimarne i protagonisti).

Ogni forma di contrapposizione violenta e pregiudiziale, non fa altro che dilatare gli effetti di certe azioni, facendo il “gioco” sporco di chi fascista e intollerante lo è davvero.

L’operazione di indebolire prima e debellare poi ogni nostalgico tentativo di qualcuno di far rinascere pagine buie del nostro passato, deve essere, quindi, soprattutto Culturale, altrimenti (come sostiene Pasolini) “il consumismo moderno striscia e logora la società già moribonda”.

E le persone libere non possono prestarsi a questo gioco!

Marcello Antonarelli

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