Non si può essere obbligati a prelievi venosi al solo fine di verificare l'alcol assunto

lun 12 febbraio 2018
Veicoli al crocevia di Claudio De Luca
3min
Cassazione ©Web
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Gli automobilisti non possono essere obbligati a prelievi venosi al solo fine di verificare l'alcolemia.

Con la sentenza n. 5978 del 10 febbraio 2015, la IV Sez. pen. Cass. ha annullato una decisione della CdA di Milano che aveva applicato la pena prevista dall'art. 186, c. 7, C.d.S. ad un automobilista che - all'invito a sottoporsi ad analisi del sangue per verificarne l'alcolemia – si era rifiutato. La pena (corrispondente al massimo grado di ebbrezza riservata a chi si rifiuta di sottoporsi ai controlli) non poteva essere irrogata perché non era stata osservata dalle Forze dell'Ordine la prassi prevista dalla norma (art. 186, cc. 5 e 7). E' vero che il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti (che fa scattare la pena di cui all'art. 186/7) è espressamente riferito anche ai controlli ospedalieri, ma è altrettanto vero che questi ultimi non possono essere imposti al conducente ubriaco ma solo a chi sia ricoverato a seguito di incidente stradale, tramite formale richiesta al personale sanitario. Forse poteva essere contestato altro reato, ma non quello per cui l'automobilista ricorrente era stato condannato. Per questo gli ermellini hanno annullato la sentenza, (il fatto non sussiste).

L'automobilista, che è ricorso in Cassazione, non era stato coinvolto in un incidente. Era incappato in un controllo di quelli che negli ultimi anni vengono effettuati al fine di combattere il fenomeno del cosiddetto "drunk driving" (guida in istato di ebbrezza), poco considerato per molti anni ed ora oggetto di norme severe. A quanto pare l’automobilista aveva l'alito vinoso e pareva in istato confusionale. Invitato a sottoporsi a controlli, si rifiutava, venendo così sanzionato (art. 187, c, 7. La norma sul rifiuto di sottoporsi agli accertamenti prevede tre differenti ipotesi: 1) rifiuto di sottoporsi ad accertamenti qualitativi o prove, non invasivi (art. 186, c. 3; 2) rifiuto a sottoporsi ad accertamenti con strumenti e procedure determinati dal regolamento (art. 186, c. 4); 3) se coinvolti in incidenti stradali e sottoposti a cure mediche, rifiuto di sottoporsi ad accertamenti da parte della struttura (art. 186, c. 5). In questi tre casi è previsto che chi si rifiuta venga punito come se fosse stato accertato il grado di ebbrezza massimo (art. 186, c. 2, lett. c), ovvero superiore a 1,5 g/l di alcolemia. La ‘ratio’ è chiara: se il rifiuto portasse all'impunità, o comunque ad una pena minore, si rifiuterebbero tutti, specie gli automobilisti in malafede.

Tuttavia, nel caso all'attenzione degli ermellini, la richiesta fatta dagli operatori di polizia stradale mancava di alcuni requisiti: non c'era alcun incidente stradale né conseguenti cure mediche. L'art. 186, c. 5 limita la possibilità di fare esami ospedalieri ai casi di soggetti coinvolti in incidenti e sottoposti a cure mediche ed esprime un preciso contemperamento di interessi: a) il diritto dei cittadini a non doversi sottoporre ad esami invasivi per confermare i sospetti delle Forze dell'ordine; b) l'interesse della collettività ad evitare che le persone guidino ubriache. Questa contrapposizione viene superata nei casi in cui gli automobilisti si trovino ospedalizzate per le cure conseguenti ad un incidente stradale. Nel caso di specie, la contestazione della condotta di guida in stato di ebbrezza era stata fatta discendere dal rifiuto a sottoporsi a controlli ospedalieri, senza che ci fosse stato alcun incidente.

A conclusione della disamina della vicenda giudiziaria, i Giudici di piazza Cavour hanno citato un principio già espresso in una precedente sentenza (Cass. n. 6755/2013), che stabilisce:"La richiesta degli organi di polizia giudiziaria di effettuare le analisi del tasso alcolemico, in presenza di un dissenso espresso dell'interessato, è illegittima”. Quindi, l'eventuale accertamento, comunque effettuato a mezzo del prelievo ematico da parte dei sanitari, è inutilizzabile ai fini dell'affermazione di responsabilità per una delle ipotesi di reato previste dall'art. 186, c. 7. Conseguentemente, hanno annullato la condanna del ricorrente perché il fatto non sussiste.

Claudio de Luca

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