​Quando la politica tira a campare: il caso del Molise

L'osservatorio lun 01 marzo 2021
Attualità di Claudio de Luca
3min
Il Mezzogiorno d'Italia ©TermoliOnLine
Il Mezzogiorno d'Italia ©TermoliOnLine

CAMPOBASSO. Nel 2007, per sovvenire alle istanze miranti allo sviluppo del Meridione d’Italia, lo Stato conferì 51,2 miliardi di euro alle Regioni interessate: una cifra grande, quasi sempre non prevista dalle manovre governative sul ‘welfare’. Per comprendere la portata di un importo così ingente, occorre aggiungere che il 20% di esso fu conferito alla Sicilia; che il 18% fu assegnato alla Campania; che il 13% finì alla Puglia. Poi ne fu somministrato il 10% alla Calabria ed il 9% alla Sardegna; e il 3% andò alla Basilicata. La 20^ regione fu l’ultima in classifica per avere ottenuto soltanto l’1% di tale cifra (che, però, fu comunque una bella sommetta a fronte dei suoi 300mila ab.). Quale fu il risultato di questo proflùvio di danaro? “Nullo”, a parte il raggiungimento di qualche traguardo del tutto immediato e marginale. La realtà è che, da una previsione di crescita del Pil pari al 3,9%, quella reale tecnicamente riscontrata arrivò a poco meno di 1/3. Insomma, col senno di poi, la conclusione è una sola: i numeri furono veramente sconfortanti.

Gli esperti della società di consulenza ‘Vision & value’, sollecitati a pronunciarsi, produssero uno studio di 1.000 pagine da cui fuoriuscì un Molise rivelatosi autarchico, un’àrea tagliata fuori da ogni concetto di globalizzazione in cui si vive di una economia pressoché curtense. Per di più questa regione è rimasta, ancora oggi, completamente aliena dai flussi degli investimenti legali, e quasi tutti i soldi ricevuti dallo Stato sono finiti in un pozzo senza fondo, disperdendosi nei mille rivoli della solita gestione amministrativa pubblica corrente, vale a dire quella affidata a chi parrebbe capace di realizzare soltanto buchi nell’acqua, e – se non trova l’acqua – concretando solo interventi ben lontani da una consistenza atta a consentire il raggiungimento di risultati veramente produttivi. Questo ritratto, che viene ad essere disegnato della classe politica molisana (e meridionale in generale), è sicuramente poco felice. Essa parrebbe originata da assessori e da dirigenti incapaci di fare uscire la propria terra al di fuori del classico luogo comune di un Sud arretrato.

Però, il divario, che perdura da un secolo e mezzo, non si presenta uguale per ciascuna delle regioni sopra menzionate. Difatti, non sempre chi incarna le istituzioni locali è fatto di cattiva pasta. Pensiamo agli amministratori della Basilicata ed a quanti gestiscono la cosa pubblica in taluni distretti della Campania e della Puglia. Per essere chiari, l’indicatore economico principale rimane rappresentato dal tasso di crescita reale del prodotto interno lordo: vale a dire quello registrabile al netto dell’inflazione. Ebbene, se l’obiettivo aggiornato nel 2004 era quello del 3,9%, il risultato non è stato neppure quello di 1,23%, ben lontano da quello dell’1,96% che rappresenta la media dell’U.e., ma perlomeno si è mantenuto in linea con quell’1,24% fatto registrare nello stesso periodo dalle regioni del centro - nord. Ma, ove si guardi ad altri dati, ce ne arrivano di più sconfortanti. Come rispondere a questa tendenza negativa? Sicuramente stimolando gli interventi produttivi. Ma, nella sostanza, è proprio questo che non viene perseguito, tanto che sarebbe facile rilevare che il Molise stia morendo giorno dietro giorno. Ed ecco, allora, qual è il motivo per cui vengono a studiarci da tutto il mondo. La verità è che rappresentiamo un caso unico a livello planetario.

Tagliati fuori dalla globalizzazione, almeno a livello legale, ce ne stiamo ben al di sotto dell’Umbria. La capacità di attirare investimenti dall’estero è semplicemente ridicola, seppure – in qualche modo – sia migliorata. Ma vero è che, sommando quelli fatti in Sicilia, in Sardegna, in Calabria, in Basilicata, in Puglia, in Abruzzo ed in Molise, il totale non arriva a quello della sola summenzionata Umbria che (pur non essendo una delle aree più dinamiche della Penisola) pure riesce a registrarne la 20^ parte del Piemonte. Non si è riusciti neppure ad incrementare le potenzialità turistiche di una costa lunga, in definitiva, appena una trentina di chilometri. Anzi, il turismo si è confermato la più clamorosa occasione mancata.

Claudio de Luca

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