Quando Larino...era in Calabria: la centrale col lucchetto

L'osservatorio mar 13 aprile 2021
Attualità di Claudio de Luca
4min
Centrale a Larino ©https://corporate.enel.it/
Centrale a Larino ©https://corporate.enel.it/

LARINO. L'amministratore delegato dell'Enel aveva appena elencato le prime nove Centrali delle venti per cui era già stata decisa la chiusura (Trino Vercellese, Marghera, Alessandria, Campomarino, Carpi, Camerata Picena, Bari, Giugliano, Pietrafitta); poi citò Genova, Levi Cavour, Bastardo, Maddaloni, Livorno, Augusta, Rossano Calabro, Porto Empedocle e Portoscuso); infine quella – a turbogas – di Larino. Ma, per errore, aveva assegnato questa Comunità addirittura alla Calabria.

Un curioso svarione geografico che non fa onore ad un mastodonte quale, di fatto, era ed è, il succitato Ente che poi ebbe a rivolgere la propria attenzione ad un’altra serie di grandi impianti destinati a chiudere i battenti. Oggi quel che importa è il fatto che il contributo di 355mila euro, ricevuto in dote, è stato acquisito dal Comune di Larino ad onta del tempo trascorso, nella considerazione che l’importo era dato per certo proprio in virtù della convenzione del 1992, che non poneva limite alcuno di decadenza e di erogazione. Resta solo il fatto che la verifica dell'esistenza reale del contributo doveva essere effettuata dalla struttura comunale bene prima della pubblicazione dell’ultimissimo bando per gli impianti sportivi; ma ciò non è avvenuto. Ed ecco che, a questo punto, bisogna appuntare ogni attenzione all’ultimissima lettera: quella con cui l’Enel si aspetta che il Comune conceda l’approvazione delle condizioni relative al versamento (quattro ‘tranche’, di pari importo, dilatate negli anni dal 2021 al 2024).

La domanda è: conviene al Palazzo accettare la proposta, seppure essa appaia redatta ad esclusivo vantaggio (e comodità) della controparte? Lo deciderà il Consiglio. Ma pure questo sembrerebbe passato in secondo piano, tant’è vero che sono partite nell’immediato soltanto le grandi manovre per l’attribuzione dei meriti per il recupero del danaro, seppure, palmarmente, le opere pubbliche vengono realizzate grazie a tutte le Amministrazioni che si succedono nel tempo, essendo palese che ognuna di esse ha consentita la maturazione di un tassello com’è nella logica di ogni realizzazione; sinché, arrivati al dunque, siamo pervenuti ad un impegno finale su cui si è voluto far pesare questa storia di una lettera presuntivamente fatta scomparire dal Sindaco precedente. Ma facciamo un po’ di storia a ritroso, se non altro per dimenticare certi inutili magheggi odierni.

Fra le Centrali, destinate ad essere chiuse con il lucchetto dall’Enel, si annoverano impianti che hanno segnato la storia dell'industria italiana: Porto Tolle, la cui ciminiera (250 metri) concreta ancora oggi il più alto ‘edificio’ italico; Tavazzano, costruita dall'Edison e nazionalizzata dall'Enel, poi ricostruita negli Anni '70 e ceduta alla spagnola Endesa, trasformata in turbogas a ciclo combinato, e passata alla tedesca Eon; Montalto di Castro, pensata come centrale nucleare e, per ciò stesso, stoppata dal referendum del 1987, completata per bruciare metano ed olio combustibile, ripensata per il nucleare dal piano dell'allora Ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, ristoppata da un secondo referendum atomico, quello del 2011; Piombino, tirata su per alimentare le acciaierie di allora; Brindisi Nord, che - per i contenziosi locali contro il deposito di carbone – fu costretta ad usare il carbonile di Capodistria; S. Filippo del M., che contribuì a rendere più pimpanti i prezzi della corrente elettrica siciliana. Insomma, in totale, ammontano a 41 gli impianti vecchi e nuovi spenti per inattività. Alcuni destinati di sicuro allo smantellamento, altri a diventare qualcosa di diverso; altri ancora posti nella ‘riserva’ da riavviare solo in caso di catastrofe nazionale. Altre, infine, rimarranno spente, ma con il serbatoio pieno e la ‘batteria’ carica. Altre Centrali tratte dall'elenco non chiuderanno. Che siano impianti con tecnologia innovativa o magari soltanto vecchie caffettiere sbuffanti, tutte hanno, di sicuro, le medesime caratteristiche: innanzitutto non rendono, altre non sono flessibili.

Nella sostanza, rappresentano solamente una voce di costo; cosicché ogni accensione può solo aggravare i conti. Insomma sul mercato l’offerta è tanta per tempi in cui sono sufficienti solo un vento appena più intenso oppure un sole più smagliante del solito per riempire di chilowattora la rete; ed i consumi piangono. Sotto le duemila ore di lavoro ogni 365 giorni (un anno ne contiene 8.760) finiscono in sofferenza i conti di una Centrale termoelettrica, quale che sia. Si teme anche per la perdita di occupazione; seppure, con ogni probabilità, quasi tutti i dipendenti saranno salvati. Chiudere gli impianti potrebbe generare un "effetto Opec". Spieghiamo meglio: come i Paesi petroliferi stringono i rubinetti, quando il prezzo scenda troppo, così le società elettriche possono usare le chiusure per ridurre un po' l'offerta e ‘svegliare’ un po' i prezzi. Per renderne rimunerativi gli impianti al limite della sostenibilità economica, si discute da tempo se introdurre un mercato della capacità ("capacity payment").

Le Centrali fuori mercato potrebbero "vendere" la disponibilità a rimanere accese nei momenti difficili, come per una crisi internazionale, per una domanda inattesa o per un periodo infelice per carenza di sole o di vento. Per convincere le aziende elettriche, il mercato della capacità prevede un piccolo incentivo, poco appetitoso ma sufficiente per quelle collocate al confine della redditività. Questo mercato non può essere allestito da Terna e dal Gse in tempi brevi, vale a dire un tempo oltre la sopportazione di diversi bilanci aziendali, quando – ormai - l'ordine è quello delle settimane o di pochi mesi. In alternativa Terna può acquistare energia con contratti pluriennali. Queste soluzioni pesano sulla bolletta elettrica, la più salata d'Europa, tanto più che occorre far digerire agli Italiani il fatto che essi pagano incentivi per le energie rinnovabili (che hanno spento le Centrali termoelettriche), versandone altri per le termoelettriche (spente dalle rinnovabili).

Claudio de Luca

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