Provincia vince al Consiglio di Stato dopo 12 anni il braccio di ferro col Cosib sugli scarichi

La sentenza lun 03 maggio 2021
Attualità di La Redazione
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L'area del Cosib ©TermoliOnline.it
L'area del Cosib ©TermoliOnline.it

TERMOLI. Si è chiusa con una doppia sconfitta per il Cosib la vertenza ingaggiata legalmente contro la Provincia di Campobasso. Tutto nasce dall’attività dell’impianto di depurazione che raccoglie e depura le acque reflue industriali provenienti dalla zona industriale di Termoli. Le acque depurate provenienti dall’impianto vengono scaricate nel canale consortile n. 5, che, dopo un percorso di circa 2 km, confluisce nel canale consortile n. 4, il quale, dopo aver attraversato per circa 2 km una contrada del Comune di Termoli, si immette nel Mare Adriatico.

Tale scarico – sottolinea l’appellante – è sempre stato autorizzato dalla Pubblica Amministrazione di volta in volta competente quale “scarico in mare”, sull’assunto che il canale n. 5 costituisca una forma di deflusso delle acque depurate fino alle acque marine, le quali rappresentano il corpo idrico recettore finale. Senonché, mutando radicalmente l’ora visto orientamento, con determinazione dirigenziale n. 448 del 23 febbraio 2009 la Provincia di Campobasso ha inteso autorizzare lo scarico in discorso non quale scarico in mare, ma quale “scarico in corpo idrico superficiale”, identificando quest’ultimo nel predetto canale n. 5. Avverso tale determinazione insorgeva il Cosib, impugnandola con il ricorso originario innanzi al Tar per il Molise e chiedendone l’annullamento, previa sospensiva. Il Tar Molise accoglieva l’istanza cautelare con ordinanza n. 134/2009 del 10 giugno 2009, che disponeva, per conseguenza, il riesame dell’istanza autorizzativa. Nondimeno, con determinazione n. 3059 del 14 dicembre 2010 la Provincia di Campobasso confermava la qualificazione dello scarico del Consorzio come afferente a corpo idrico superficiale.

A tal proposito lo stesso ente consortile lamenta che, una volta ordinato dal Tar in sede cautelare il riesame, è sopraggiunta un’indagine penale che avrebbe troncato qualunque possibilità di sviluppo positivo del riesame e avrebbe indotto la Provincia a confermare il proprio avviso, dal quale discenderebbe che si debbano rispettare i parametri e i limiti previsti dal d.lgs. n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente) per gli scarichi in acque superficiali. Nella fase di merito veniva quindi esperita apposita consulenza tecnica d’ufficio, che confermava la qualificazione del canale n. 5 come scarico afferente a corpo idrico superficiale. In esito a questa, il Tribunale adito pronunciava la sentenza n. 257/2013 del 29 marzo 2013, con cui, dopo aver dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo, respingeva i motivi aggiunti.

Il Cosib si è appellato al Consiglio di Stato. Tra i vari motivi, infondato il timore paventato dal COSIB che, essendosi l’habitat fluviale sviluppato in assenza dei limiti di concentrazione per solfati e cloruri, l’introduzione di detti limiti (discendente dalla qualificazione dello scarico consortile come scarico in corpo idrico superficiale) arrecherebbe danni all’habitat stesso, poiché questo, per mantenersi, richiederebbe la conservazione di valori più alti di tali sostanze: in realtà, i limiti di concentrazione di cloruri e solfati sarebbero idonei a preservare l’habitat fluviale, perché in linea con i valori finora registrati. Neppure sarebbero fondati i timori di ricadute economiche negative, giacché sarebbe piuttosto il Cosib ad imporre ai consorziati oneri di depurazione eccessivi e penalizzanti. Da ultimo, la Provincia appellata eccepisce che non vi sarebbe stata, da parte sua, alcuna violazione del principio di leale collaborazione e che la domanda risarcitoria formulata dal Consorzio sarebbe inammissibile.

I giudici di Palazzo Spada hanno respinto l’appello e condannato il Cosib al pagamento delle spese.

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