Giustizia tributaria: la riforma e le novità per la nomina dei Giudici

L'osservatorio mer 13 ottobre 2021
Attualità di Claudio de Luca
3min

MOLISE. Giudice di merito specializzato ed a tempo pieno. E’ questa la prima e principale riforma della Giustizia tributaria, finalizzata ad assicurare una riduzione dell'afflusso delle cause dinanzi alla Corte di Cassazione ed a migliorare l'efficacia e l'efficienza del sistema. Il contraddittorio endoprocedimentale diventerebbe obbligatorio, pena la nullità dell'atto di accertamento. I contenuti sono ricompresi nella relazione finale, concernente il ‘restyling’ del contenzioso tributario, che risulta corposa. Vi si indicano alcune proposte relative alla nomina dei giudici di 1° e di 2° grado e si trattano le liti minori, la formazione, l'inquadramento e l'organico dei Giudici nonché il processo e l'organizzazione dei primi due gradi di giudizio.

La prima esigenza, sentita da numerosi Consigli nazionali di categoria è quella di procedere con la previsione di un Giudice di merito, specializzato e ‘full time’, nominato con concorso, cui si dovrebbe aggiungere l'istituzione di una sezione specializzata della Suprema corte a cui possono dare il loro apporto i Giudici tributari che hanno esercitato con professionalità la giurisdizione nei primi gradi di giudizio. Il secondo passaggio riguarda il contraddittorio obbligatorio, da inserire normativamente all'interno dello Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212/2000), con cui si sancisce la nullità degli atti di accertamento in assenza della convocazione del contribuente prima dell'emissione dei citati atti; come proposta subordinata dovrebbero restare esclusi, dall'invito obbligatorio, gli avvisi di accertamento parziale, di cui all'art. 41-bis del dpr n. 600/1973, fondati sui dati presenti in Anagrafe tributaria. D'altra parte, anche la giurisprudenza di legittimità è da tempo orientata a riconoscere il diritto al contraddittorio al di fuori del procedimento di applicazione dei tributi armonizzati e, recentemente, il legislatore ha introdotto una disposizione (art. 5-ter del dlgs n. 218/1997) diretta ad assicurare il detto contraddittorio con riferimento ai principali tributi erariali. In tema di autotutela tributaria si sottolinea la natura discrezionale; ma, in presenza di atti, spesso palesemente illegittimi, si ritiene necessario introdurre una norma che indichi i casi di autotutela obbligatoria ed i limiti all'esercizio del potere di auto-annullamento. In sostanza, sul tema, viene proposto l'inserimento di una disposizione nella legge n. 212/2000 succitata che prevede una serie di casi per cui deve scattare l'autotutela, senza la necessità dell'istanza di parte (errore di persona, errore logico o di calcolo, errore sul presupposto del tributo, doppia imposizione e quant'altro).

Non poteva essere tralasciato un intervento sull'istituto della conciliazione giudiziale sull'art. 15 del d.lgs. n. 546/1992 che prevede, in caso di non accettazione dell'accordo senza giustificato motivo da una delle parti in causa, la maggiorazione delle spese nella misura del 50%, cui si aggiungono modifiche sulla gestione dell'udienza e del processo verbale. Il successivo intervento riguarda la tutela contro gli atti illegittimi. Sul tema si propone l'inserimento di un nuovo comma all'art. 7 con cui si dispone che le Commissioni adìte non possano porre, a fondamento della propria decisione, elementi di prova acquisiti «in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Infine, la relazione interviene sull'impugnabilità degli estratti di ruolo, ferma restando l'impugnabilità della cartella; e dopo l'analisi della natura dell'estratto, che si ribadisce non costituisce un atto di riscossione (e non contiene, per sua natura, nessuna pretesa esattiva né impositiva e non ha natura direttamente lesiva della sfera patrimoniale del debitore), la proposta prevede la «non» impugnabilità, garantendo sempre i diritti dei debitori cui resta la possibilità di impugnare il primo atto di riscossione agli stessi notificato.

Che fiducia può ispirare un sistema giudiziario in cui i Giudici vengano assunti senza concorso, siano pagati a ‘forfait’ (€15 per ogni sentenza e nessun compenso per le sospensive, più un rimborso spese omnicomprensivo di 1,5 quando lavorino fuori sede? Un sistema giudiziario in cui manchi la parità delle parti processuali, tanto che i giudici vengono retribuiti da una delle due parti in giudizio e la qualità delle decisioni è così scadente che il 47% delle sentenze viene riformato in appello? Qualcuno penserà che si stia parlando della Giustizia praticata in qualche sperduto villaggio africano o dell'applicazione della Sharia in qualche landa desolata del Medio oriente. Invece stiamo parlando della Giustizia tributaria italiana. Un sistema processuale che, nel 2020, ha risolto, in 1° e 2°grado, più di 140mila controversie, per un valore superiore ai 15 miliardi di euro, pari all'uno per cento del Pil italiano, ma che è così scalcinato da registrare una durata media dei giudizi di merito di circa 3 anni e di 4 anni in Cassazione, dove si sono accumulate più di 55mila cause pendenti.

Claudio de Luca

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