Mascherine ok? Solo l’alito peggiora ma il sistema immunitario non patisce

L'osservatorio mar 26 ottobre 2021
Attualità di Claudio de Luca
3min

TERMOLI. Secondo gli esperti, in un mondo da vivere con il naso e con la bocca coperti non correremmo grossi rischi per la salute. Chi se ne intende parla, al massimo, di una sorta di affaticamento, ma pure di una sindrome da esaurimento.

Oltre le sei ore al giorno, l’imposizione di una mascherina favorirebbe semplicemente la comparsa di un malessere, di stanchezza e di mal di testa. Durante la prima ondata di pandemìa, quando questa protezione (imposta) veniva calzata ben più di dodici ore al giorno, almeno nelle persone con acne finiva col peggiorare i sintomi cutanei; e tutto lievitava nel giro di sei settimane. Chi se ne intende ritiene che – a causa del suo abuso - la pelle soffra perché cambia il microclima, quindi il grado di acidità, la temperatura e l’umidità. Nelle Università americane hanno scoperto che quelle in cotone (o chirurgiche) bloccano il particolato più sottile fino al 3%; mentre, con le Ffp2, si arriva a filtrare il 95% delle particelle.

Si sostiene, perciò, che calzarle sempre non abbia a pregiudicare la funzionalità dei polmoni; e ciò manco se facessimo sport con il naso e con la bocca coperti. Eppure v’è chi muove delle eccezioni. Per esempio, all’Università di San Diego, in California, operano ‘distinguo’ per chi abbia malattie cardiopolmonari gravi perché la mancanza di fiato potrebbe farsi sentire più facilmente, intaccando le capacità di esercizio fisico. Secondo i ricercatori, la mascherina potrebbe non essere il massimo per naso e gola. Portarla per ore, oltre a peggiorare l’alito, potrebbe addirittura seccare (ed irritare) le mucose del naso e della gola, soprattutto quando si fosse costretti a parlare con voce troppo alta per farsi sentire. Ciò posto, il sistema immunitario sarebbe al sicuro perché non incontrare germi, grazie all’uso costante della protezione, non lo renderebbe meno forte, dal momento che gli immunologi ritengono che, appena nati, il sistema di protezione umano sia già in grado di difenderci da tanti patogeni, riconoscendo diecine di migliaia di molecole. A dire degli esperti, è nei primi tre anni (ma soprattutto durante i primi dodici mesi) che, grazie al contatto con cibi e germi, avviene il cosiddetto “condizionamento immunitario” che – in pratica - rappresenta la memoria di ciò contro cui occorre reagire e ciò che va tollerato. Ciò premesso, psicologicamente, la cosa più difficile da ammettere sarebbe quella di non poter vedere mai il viso degli altri per intero.

E così, al “Neuroscienze” di Parma, ritengono che il fatto finisca con il compromettere la possibilità di interpretare le emozioni, attenuando la fiducia nei confronti di chi si abbia di fronte, finendo con il ridurre l’empatia. Ne sono convinti coloro che ritengono lo sviluppo sociale e cognitivo dei bambini compromesso non tanto dalla mascherina quanto piuttosto dall’isolamento sociale indotto dalla pandemia. Tutto ciò posto, rimarrebbe da discutere in ordine all’emergenza inflitta dallo smaltimento dei rifiuti. Se tutti indossassimo, di continuo, una mascherina, faremmo lievitare la montagna di rifiuti di cui liberarci. Tanto è vero questo che, già da oggi, l’inquinamento ambientale dovuto a tale sistema di protezione è diventato un enorme problema perché occorre stimare il consumo medio settimanale di detti dispositivi. A tale proposito, si apprende che, negli Stati uniti, già si arrivi al miliardo depositato per ciascuna settimana; in India, invece, addirittura si è giunti a cinque.

Le statistiche confermano che soltanto il 45% delle persone abbia a smaltirle nei rifiuti misti o in quelli pericolosi. Una su cinque, invece, le abbandona lungo le strade mentre non manca chi – poco accortamente – le deposita nel ‘water’. Eppure i composti chimici rilasciati risultano essere tali da danneggiare l’ambiente; ed esse stesse rappresentano una minaccia per gli animali in genere. Per ciò stesso, al fine di ridurne l’impatto ambientale, dovremmo modificarle in materiali naturali e magari riuscire a riciclarle producendo materiali da costruzione come aggregati e blocchi plastici leggeri (o perfino una malta ecologica).

Claudio de Luca

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