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giovedì 25 Settembre 2025
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Il rischio delle spiagge molisane: potrebbero finire nella disponibilità di investitori stranieri

TERMOLI. E’ sin troppo noto che il Consiglio di Stato ha stabilito che, nel 2024, non potranno più essere prorogate le concessioni balneari. Quindi il settore dovrà essere aperto alle regole della concorrenza, con aste vere e proprie da esperire al fine di conferire l’uso dei terreni demaniali. Al 2024 mancano oltre due anni; quindi potrebbe esserci tempo per il verificarsi di qualche nuovo episodio o di nuovi colpi di scena. Non scordiamo che si tratta di una vicenda che si trascina dal 2006. E’ sin troppo certo che la questione delle spiagge, dal punto di vista dei bagnanti (e anche della sostenibilità ambientale e, non ultimo, delle casse comunali), non riguarda tanto la Bolkestein e la concorrenza.

Perché non è detto che le nuove regole, in un caso del genere, abbiano a risolvere talune questioni che si trascinano da decenni. In effetti, sul fronte delle concessioni balneari, i tuoni delle proteste sono esplosi per anni; ma non sì è avverato l’antico detto che certifica quanto riesca a piovere dopo che, dal cielo, abbia tuonato. Ora tutto sembrerebbe oramai inutile; ma, almeno da qualche parte, i sindacati dei bagnini sono insorti, sostenuti dalle Regioni e dai partiti, nel tentativo di bloccare ogni iniziativa dell'Ue che, in forza di una legge, chiede di poter tenere gare per finirla con una ereditarietà considerata mascherata. E così i politici molisani non si sono preoccupati di contribuire alla modifica delle normative delle concessioni al fine di renderle meno automatiche all’atto del rinnovo. Per anni gli importi dei canoni da corrispondere allo Stato, quasi sempre di scarso peso, non sono stati aggiornati e nessuno si è premurato di rispondere all'Unione europea (come da più parti si era proposto), documentando la storicità di un modo di gestire le spiagge italiche, da riformare certamente ma comunque non da stravolgere, preferendo semplicemente chiedere proroghe, ora rivelatesi inutili, e cercando di nascondere il problema sotto il tappeto. Dopo l’imposizione, ferma, dei capisaldi della Bolkenstein, ed in seguito alla decisione del Consiglio di Stato, i tuoni hanno fatto arrivare non solo la pioggia quanto addirittura una grandinata.

Avendo il coltello dalla parte del manico, l’Unione europea ha letteralmente ‘imposto’ l'espletamento delle gare per le concessioni balneari, ponendo queste ultime tra le condizioni per distribuire i fondi del Pnrr. Il Governo, su pressione della politica ‘bipartisan’, le ha stralciate dal provvedimento generale, pur trattandosi dell'ennesima non-scelta che continuerà a nuocere a tutti; innanzitutto all'immagine che l'Esecutivo nazionale trasmette di sé all'Europa, poi alle istituzioni locali ed ai partiti che rischiano di essere travolti dall'esplosione della bomba che scoppierà in assenza di proposte di soluzioni praticabili. Non ultima, ai concessionari che faticano a programmare e ad investire nell'incertezza sui tempi prossimi venturi. Di contro, sarebbe il caso di affrontare con determinazione la questione, tenendo ben presente la specificità (che è anche diversità) delle nostre coste. Chiaro è che possa ritenersi poco ammissibile il perseverare di rendite di posizione che finiscano con il trasmettersi tra generazioni e su cui l'incasso si rivela irrisorio per lo Stato. Ma cerchiamo, almeno, di avere maggiore contezza che la soluzione proposta dall'Europa pone tanti dubbi.

Occorre domandarsi se le gare internazionali siano quelle più opportune da praticare. A ben ragionare, uno dei punti di forza del nostro turismo balneare è la diversità dell'offerta e soprattutto la sua artigianalità. Una standardizzazione, figlia di grandi gruppi o di grandi catene turistiche, che intervenisse in grazia della nuova gestione degli arenìli , toglierebbe ogni ‘appeal’ alla proposta di vacanze italiane. Le nostre spiagge, infatti, potrebbero finire – per la gran parte – nelle mani di grandi investitori stranieri. Perciò occorrerebbe chiedersi: le coste sono meno importanti di quelle aziende strategiche per cui è stata prevista la ‘golden share’ al fine di evitare scalate ostili?

Claudio de Luca