Le casse piangenti dei Comuni molisani

L'osservatorio ven 26 novembre 2021
Attualità di Claudio de Luca
3min

MOLISE. Ove si ragguaglino certi dati alla realtà molisana, si ottiene un quadro sconfortante (fatto di Comuni-polvere) ed una sola certezza: se l’andamento demografico ed economico dovesse mantenersi costante, potremmo avere – quanto prima – una decina di comunità in meno per sopravvenuta estinzione. Perciò, coerentemente, al fine di semplificare l’attività della P.a. l’ordinamento nazionale si arricchì di decine di decreti legislativi. Si trattò di atti (con valore di legge) emanati dal Governo, previa delega conferitagli dal Parlamento. Sarebbero dovuti servire ad “attenuare”; ma, per provare ad arginare la mole delle norme vigenti, si dové imporre dapprima uno sfoltimento generale delle fonti (con Calderoli) e poi innestare provvedimenti nuovi. Questo paradosso rese la vita difficile persino alle riforme Bassanini e Bersani, unici tentativi di lotta alla burocrazia.

Punte di diamante della cura furono le realizzazioni dello sportello unico e della dichiarazione di inizio attività con l’abbattimento di un esorbitante numero di certificati e di autorizzazioni. Oggi permane lo scoglio maggiore rappresentato dalla quantità dei Comuni (8.103); e, soprattutto, dalla presenza del 95% di enti rimasti, demograficamente, sotto la soglia dei 20mila abitanti mentre il 73% (pari a 5.903) ne conta meno di 5.000. Si pensi pure che, nei 7.848 Comuni fino ai 20mila, vivono quasi 27 milioni di persone rappresentative del 47% dell’intera popolazione, mentre nei restanti vive la maggioranza degli Italiani ed opera la gran parte delle imprese. Pensare che i nuovi strumenti dell’antiburocrazia possano attecchire in simili realtà sarebbe davvero chiedere troppo; tant’è vero che i succitati istituti navigano in forti difficoltà applicative.

Nell’arco degli ultimi anni, è stato registrato un calo demografico pari allo 0,6%, peraltro insorto a causa di un’inedita ondata migratoria giovanile che ha superando le migliaia di unità. Se accoppiamo questo dato a quello legato alla denatalizzazione, diventa impossibile vedere spiragli di luce per il futuro. Perciò, quando in campagna elettorale, le parti politiche (formiche rosse, bianche o nere che siano) verranno ad illustrare “le magnifiche sorti, e progressive”, della 20.a regione, occorrerebbe interromperne certi enfatici eloqui per rappresentare al caporione di turno che la buona sorte incontrerà magari soltanto il suo portafogli; e bisognerà rammentargli che, quando il Contado era amministrato dai Borboni, contava 331mila abItanti, mentre nel 2021 (quando a fronte di ogni bambino si conteranno 8 anziani) potrà vantarne di gran lunga meno, almeno sulla carta, di 295mila, con una popolazione in età lavorativa calata di migliaia di unità rispetto a quella di un decennio fa. Oggi si assiste alla diminuzione del numero degli occupati; e, alla diminuzione di questi, fa riscontro l’aumento del numero di soggetti in cerca di occupazione. Tutti questi dati, seppure formati da fonti autorevoli, non hanno fatto molta impressione alla classe politica locale cui, forse, bisognerebbe augurare l’immortalità.

Probabilmente soltanto in tal modo maturerebbe aspettative di più alto profilo (per dismissione di quelle praticate presentemente), rispetto a quelle oggi improntate alla perseguita filosofia oraziana del “carpe diem”. Ciò premesso, come si sono organizzati i nostri Comuni a fronte di questo sfacelo sociale ed economico? Manco con i mezzi suggeriti dal legislatore. Hanno partorito qualche 'finzione di Unione, rivelatasi più o meno cartacee. Eppure la scelta “unionista” sarebbe obbligata, come l’apprestamento di servizi sovra-comunali; ma nessuno ha il coraggio di cancellare, riducendoli a semplici “municipi”, manco quei Comuni da 250-300 anime dove, visivamente, non si sa come tirare avanti, dal momento che occorre comunque elargire agli amministrati i medesimi servizi offerti all’utenza da enti maggiori. Nel frattempo la cassa piange, piena com’è di ragnatele.

Claudio de Luca

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