Alienazione al patrimonio comunale dei beni delle cooperative

L'osservatorio mar 27 settembre 2022
Attualità di Claudio de Luca
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Palazzo Ducale ©Termolionline
Palazzo Ducale ©Termolionline

LARINO. Alienazione al patrimonio comunale dei beni delle cooperative. Cosa dice la legge.

Con riferimento al caso della Cooperativa edilizia "Cappuccini" (il Comune di Larino ha accettato la proprietà delle strade interne, della rete fognante 'et similia'), sono in molti a domandarsi se il transito sia stato posto in essere per accollare a Palazzo Ducale le spese (rifacimento del manto stradale, etc.). Naturalmente non entriamo nel merito; cosicché, a chi si domanda se un Comune possa essere legittimato a tanto, ci limitiamo a fare riferimento alla normativa. Preliminarmente occorre che le singole Regioni abbiano proceduto ad adottare con urgenza i necessari atti di indirizzo, disciplinanti - in modo rapido e semplificato - la verifica e l’approvazione delle deliberazioni comunali, attraverso una procedura idonea a verificare esclusivamente “la conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni”. Ciò perché sono facilmente immaginabili le conseguenze sui bilanci degli Enti in caso di ritardi nei provvedimenti regionali, in particolare per quei Comuni e Province che non abbiano approvato il piano delle alienazioni e ancor di più per quegli Enti che abbiano già provveduto ad alienare immobili valorizzati ai sensi dell'art. 58 e che potrebbero trovarsi esposti a prevedibili contenziosi.

Com’è noto l’art. 136 Cost. prevede che, “quando la Corte dichiari l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”; e l’art. 30 della Legge n. 87/1953 disciplina ulteriormente gli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale. La Cassazione ha più volte ribadito che "Le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall’origine la validità e l’efficacia della norma dichiarata contraria alla Charta, salvo il limite delle situazioni giuridiche "consolidate" per effetto di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto (sentenze passate in giudicato, atto amministrativo non più impugnabile, prescrizione e decadenza). Pertanto, quando un ente o un’amministrazione dello Stato revocasse un atto ormai perfetto valido ed efficace, basandosi sull’assunto che esso risulti essere in vigore in base ad una norma incostituzionale, nonostante avesse tali requisiti sin dall’inizio o li abbia acquisiti nel corso del tempo e, comunque, prima della sentenza d’incostituzionalità ovvero, in caso di vizi, quest’ultimi non siano stati fatti valere nella sede opportuna rispettando i modi e i tempi dell’impugnazione, è possibile ricorrere ai TT.A.R. per l’annullamento del provvedimento. Ciò significa che una legge, anche se dichiarata incostituzionale, continua ad esplicare i suoi effetti per quei rapporti costituitisi prima della sentenza della Corte Costituzionale per un principio che può definirsi "di legalità".

La stessa legge dovrà comunque essere disapplicata per i rapporti non ancora costituiti o in corso di perfezionamento. In ogni caso si avrà, come risultato, quello di ritenere comunque abrogata la norma incostituzionale nei confronti di eventuali nuovi rapporti o nei confronti di quelli in corso di costituzione e non ancora perfetti; valida ed efficace per quelli perfezionatisi in momenti precedenti al giudizio della Corte Costituzionale. Pertanto, se per le deliberazioni già adottate ed efficaci non si ponessero problemi, vanno risolti quelli per gli atti 'in itinere' o di prossima adozione. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di ritenere come soddisfacente la modalità già contenuta nell’ultima parte del c. 2 dell’art. 58. Le Regioni potrebbero, con proprio atto di indirizzo, stabilire una procedura di esame e ritenere soddisfatto l’esercizio del proprio potere di governo del territorio a seguito della trasmissione da parte degli enti locali della deliberazione adottata ai sensi dell’art. 58 e della successiva verifica di conformità agli strumenti di pianificazione territoriale vigenti, con le modalità ritenute più opportune. Si potrebbero, altresì, inquadrare – con il solo limite del tempo necessario al perfezionamento della procedura – le varianti adottate ai sensi e per gli effetti dell’art. 58, c. 2, come varianti parziali agli strumenti urbanistici comunali, soggette alla procedura prevista da ciascuna legge regionale.

Per concludere, si deve ritenere che, alla luce di quanto esposto (legge n. 133/2008, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 340/2009) che Regioni, Province, Comuni, con deliberazione consiliare, redigono il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari, allegato al bilancio di previsione; inseriscono nel piano un apposito elenco, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, dei singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile. Contestualmente la deliberazione dispone espressamente la destinazione urbanistica di ogni singolo immobile da valorizzare ovvero da dismettere. Qualora la destinazione urbanistica disposta per il singolo immobile costituisse variante allo strumento urbanistico generale, sarebbe necessario – ai fini dell’efficacia definitiva della variante – che questa sia determinata nel rispetto delle disposizioni e delle procedure stabilite dalle norme regionali.

Claudio de Luca

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