Piccoli Comuni, federalismo fiscale e aggregazioni

L'osservatorio mer 28 settembre 2022
Attualità di Claudio de Luca
3min
Campanili ©Wikipedia
Campanili ©Wikipedia

Partiamo un po' da lontano, ricordando cosa ha lamentato di recente la minoranza di Montelongo, denunciando l’assenza del primo cittadino in piena estate. «A nessuno si vieta di andare in vacanza - hanno esordito i consiglieri di opposizione - ma, se il sindaco scelga, per andare in ferie, lo stesso periodo del suo vice - che si fa? Il piccolo comune ha un solo dipendente, con un contratto a tempo determinato di poche ore; e, bene spesso l'Ufficio è chiuso al pubblico. Sin dalle prime assise consiliari, la minoranza aveva chiesto di stabilire una collaborazione con i Comuni finitimi, ma non si è mai provveduto formalmente in proposito. Addirittura molti amministratori non risiedono a Montelongo e, nel periodo luglio-agosto, i cittadini non possono provvedere manco a munirsi di una carta d’identità. Possono solo rivolgersi al Comune più vicino, che è Montorio nei Frentani, sempre ammesso che stia meglio.

Ciò posto, cerchiamo di capire come si potrebbe ovviare. Il Consiglio dei ministri rese nota l’adozione di uno schema di decreto legislativo intitolato “Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale”. L’aggettivazione venne poi reiterata - nell'art. 3 - dove appare doppiamente sottolineata l’esistenza di una imposta municipale propria” (art. 4, 5, 6 e di una "municipale secondaria facoltativa” (art. 7). Da allora “Comune” e “Municipio” non sono stati più termini giudici equivalenti, seppure nel parlare corrente vengano tuttora ritenuti sinonimi. Una volta l'organo esecutivo del Comune veniva denominato Giunta municipale, perché il “Municipio” era la Casa comunale. Con il T.u. n. 267 del 2000, il termine trasmutò in “comunale”; e si parlò di articolazione in Municipi dei Comuni quando – al fine di rendere meno traumatica una possibile fusione tra i cosiddetti enti-polvere – si volesse assicurare ai paesini originari una relativa indipendenza gestionale con l’istituzione dei “Municipi”. Grazie a tale tramite, potevano essere riaffidate loro, oltre alla gestione dei servizi di base, pure altre competenze delegate dal Comune originatosi dopo la fusione. Peraltro, l’organizzazione dei “Municipi” si attua con l’elezione di un pro-Sindaco e di due consultori eletti dai cittadini residenti nella circoscrizione degli enti originari, nell’intesa che le cariche citate rimangono incompatibili con quella di consigliere comunale.

Dunque, nel TUEL, i termini “Comune” e “Municipio”, giuridicamente intesi, non sono sinonimi, al punto che è possibile rinvenire il 2° qualificativo una sola volta, e soltanto quando riferito alle “aziende municipali”. All'art. 3, c. 2, si precisa che “il Comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo”, mentre i “Municipi” (non a caso il termine viene utilizzato al plurale) sono identificati nell'art. 16. Nella sostanza il Municipio è l'articolazione locale di un Comune più grande, realizzatosi per fusione. Naturalmente, pure in questo settore opera la fantasia; ragion per cui risultano correntemente utilizzate alcune varianti. Per esempio, a Roma, le Circoscrizioni vengono denominate Municipi, pur non trovandosi il Comune di Roma nella condizione delineata dal succitato art. 16. A Napoli, gli organi di decentramento vengono chiamati Municipalità, così come a Venezia. A Milano operano i Consigli di zona. A Genova sono denominati Municipi perché – nel 1926 - il Comune divenne più grande grazie all’adesione di una ventina di Comuni minori posti nell’immediato circondario. Esaurito questo necessario ‘excursus’ storico e legislativo, è possibile ritornare a bomba per ribadire un concetto che non è formale quanto piuttosto sostanziale. Le imposte sono comunali, e non possono essere municipali. Perciò, da parte del legislatore, fu scorretto – all’epoca - avere qualificato tali quella “propria” e quella “secondaria facoltativa” dell’IMU, già imposta municipale unica) perché – come si è visto - l'aggettivo può essere riferito esclusivamente alle articolazioni amministrative sub-comunali. Di conseguenza, la dizione corretta dell’oggetto del decreto delegato sul federalismo fiscale non può che recare la sola dizione “comunale”; e quindi: “Federalismo fiscale comunale” e “due nuove forme di imposizione comunale: a) una imposta comunale propria; b) una imposta comunale secondaria facoltativa”.

Ma perché mai è stata utilizzata una denominazione così poco felice sotto il profilo della correttezza? Può solo ipotizzarsi che la colpa possa essere addebitata all’esistenza dell'imposta comunale sugli immobili. L’unica spiegazione potrebbe essere questa perché – evidentemente – il legislatore doveva avere voluto evitare assonanze con lci, imposta all'epoca ancora viva e vegeta nell’ordinamento, visto che essa è stata soppressa soltanto con riferimento alla prima casa (e pure con rilevanti eccezioni). Insomma, il Governo desidera menare vanto, e giustamente, per avere varato una tale soppressione, e teme come la peste qualunque accusa di reintroduzione surrettizia. Perciò, ha preferito non accennare al termine “immobile” nella denominazione dell'imposta, ritenendo – con l'uso della parola “municipale” – di mantenersi ancora più lontano dall'Ici.

Claudio de Luca

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