Semi di libertà, a 40 anni dalla grande marcia contro il nucleare

1978 dom 02 dicembre 2018
Attualità di La Redazione
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Manifesto ©Termolionline.it
Manifesto ©Termolionline.it

TERMOLI. Il 2 dicembre del 1978 si svolse a Termoli una grande manifestazione contro le centrali nucleari che il Governo voleva costruire sulla costa molisana, in agro di Campomarino. Un lunghissimo corteo di oltre ottomila persone, aperto da decine di trattori guidati dagli agricoltori delle contrade di Madonna Grande e Ramitelli, attraversò le vie della città. Alla manifestazione erano presenti alcuni dei nomi più prestigiosi dell’ambientalismo italiano: Giorgio Nebbia, Virginio Bettini, Massimo Scalia, Gianni Mattioli, Matteo Matteotti e Adelaide Aglietta, allora segretario nazionale del Partito Radicale. Per ricordare quell’evento è in fase di realizzazione un libro che, partendo dalla vicenda del nucleare, tenterà una ricostruzione storica delle lotte per l’ambiente che si sono svolte nel Basso Molise, dall’inizio degli anni settanta fino ai giorni nostri. In occasione dell’anniversario dei quarant’anni, diffuse la riproduzione originale del manifesto e un estratto del libro, che dovrebbe uscire all’inizio del nuovo anno, con la ricostruzione della manifestazione del 2 dicembre del 1978, per ricordare quell’importante pagina di storia locale.

Estratto dal libro “Quando il Molise fermò il nucleare”

a cura di Aldo Camporeale e Enzo Gallo.

Al punto in cui si era arrivati, con l’approvazione di un decreto legge che prevedeva espressamente la localizzazione delle centrali nucleari in Molise, non era possibile restare fermi. Perciò il Coordinamento Antinucleare Molisano decise di promuovere, per il 2 dicembre del 1978, una manifestazione nazionale a Termoli “Contro le centrali nucleari nel Molise” sotto lo slogan “Il Molise vuole vivere”. Alla manifestazione diedero subito la propria adesione: Italia Nostra, il Comitato Nazionale per il Controllo delle Scelte Energetiche, Gli Amici della Terra (lega antinucleare) e la L.O.C. (Lega degli Obiettori di Coscienza).

Il due dicembre del 1978 era una giornata sferzata da un freddo vento di tramontana. Di solito le manifestazioni a Termoli iniziavano su Viale Trieste, davanti al Liceo Scientifico Statale “Alfano da Termoli”, era lì che si concentravano i manifestanti. Da viale Trieste il corteo si dirigeva immediatamente verso il centro. Per la manifestazione contro il nucleare avevamo previsto un percorso molto più lungo, perché era necessario aspettare gli agricoltori che sarebbero dovuti arrivare da Campomarino con i trattori. Per questo il corteo si diresse subito verso l’incrocio dell’Ospedale, dove si fermò, a cavallo fra via Corsica e Via Martiri della Resistenza.

Per quanto accurato possa essere stato il lavoro di preparazione e per quanto si possa essere fiduciosi della buona riuscita di una manifestazione, l’attesa dei manifestanti è sempre un momento di grande nervosismo.

Come sempre, le prime ad arrivare erano state le forze dell’ordine. Polizia e carabinieri erano numerosi ma presidiavano l’area in modo discreto. Verso le sette e mezzo iniziarono ad arrivare le prime persone, soprattutto studenti delle scuole medie superiori. Verso le otto c’era già una buona presenza di manifestanti, ma i trattori tardavano ad arrivare e, senza di loro, il corteo non poteva partire.

Intanto la strada era ormai piena, c’erano gli striscioni e i cartelli contro il nucleare e partivano i primi slogan, spesso ironici, contro il governo e i partiti che sostenevano la scelta nucleare, soprattutto la D.C. e il P.C.I.. Ormai si contavano diverse migliaia di persone, agli studenti si erano aggiunti cittadini di tutti i comuni del circondario, lavoratori e operai della zona industriale, pescatori. In mancanza di cellulari, non era facile avere notizie sull’arrivo dei trattori.

Alla fine i trattori arrivarono. I manifestanti si spostarono ai lati della strada per farli andare verso la testa del corteo. Era una fila lunghissima e rumorosa a causa dei potenti motori diesel, vederli avanzare lenti e maestosi fu una grande emozione, erano la vera voce della protesta. Seduti alla guida gli agricoltori coperti da pesanti giacconi, per ripararsi dal freddo. Quarant’anni fa i trattori non erano progettati pensando al confort di chi doveva usarli, non erano dotati di comode cabine insonorizzate con l’aria condizionata. Chi li guidava si trovava spesso all’esterno, esposto al freddo e alle intemperie.

Non appena il corteo iniziò a formarsi, la polizia bloccò il traffico sulla statale, sia a nord che sud. Vennero fermate le auto, ma soprattutto i mezzi pesanti: autocarri e autotreni. Chi voleva poteva eventualmente passare utilizzando l’autostrada. Di fatto la strada statale, senza traffico, venne lasciata nella piena disponibilità dei manifestanti. Questo creò un clima di grande serenità che permise al corteo di muoversi in modo tranquillo.

Eravamo tantissimi, fra le otto e le diecimila persone. Il grosso dei manifestanti proveniva dall’area del Basso Molise, ma non mancavano delegazioni provenienti dal vicino Abruzzo e dalla Puglia, oltre che dal resto della regione. Numerose le associazioni nazionali che avevano ufficialmente aderito ed erano presenti con propri rappresentanti.

Se gli slogan gridavano le ragioni della protesta, un giovane, in silenzio, riuscì a diventare uno dei simboli della manifestazione e per questo la sua foto venne pubblicata da diversi giornali. Il ragazzo, vestito da contadino, con un pesante mantello nero, tipico delle zone interne del Molise, la faccia seria coperta da una folta barba nera arruffata come i capelli, avanzava con passo lento e pesante, era al centro del corteo, ma intorno a lui si era fatto un ampio cerchio vuoto, senza persone. Teneva ben stretto nelle mani, appoggiato sulle spalle, un falcione, lo stesso col quale di solito viene rappresentata la “morte”. La simbologia era semplice, estremamente efficace. Faceva riflettere, rappresentava un’inquietante minaccia e al tempo stesso la solitudine che accompagna ognuno di noi verso il proprio destino.

Il ragazzo percorse un lungo tratto del corteo, fintanto che le forze dell’ordine non realizzarono che quel “falcione” era un’arma impropria e la sequestrarono, per ridargliela poi, senza problemi e nessuna conseguenza, alla fine della manifestazione.

Davanti ai trattori, un bimbo di dieci, undici anni apriva il corteo, reggeva con le mani un poster incorniciato con la foto di una bambina scalza, in maglietta gialla, che infila un garofano rosso dentro la canna di un fucile. Sull’immagine era stata sovrapposta la scritta: “un garofano rosso al posto del nucleare”. Il piccolo manifestante avanzava con un’andatura incerta, col padre che marciava al suo fianco aiutandolo a mantenere il quadro che ondeggiava al vento.

Il corteo, col suo carico di rabbia e di speranza, mostrava in modo chiaro la forza e la determinazione dei molisani schierati, a grande maggioranza, contro la costruzione delle centrali nucleari.

Ma la giornata del 2 dicembre non si concluse con la fine della manifestazione. Nel pomeriggio era previsto un “Incontro – Dibattito” nella Sala Consiliare del Comune di Termoli, con la partecipazione dei rappresentati della cultura, della scienza e dell’informazione. Erano presenti: Virginio Bettini, Gianni Mattioli, Giorgio Nebbia e Massimo Scalia. Com’era immaginabile, l’incontro si svolse in un clima di grande soddisfazione.

Il Molise aveva scritto una delle pagine più belle dell’ambientalismo italiano.

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