Il terrorismo del 1978: dove vive chi ammazzò Giulio Rivera

Ritorno al futuro mar 15 gennaio 2019
Attualità di Claudio de Luca
2min
Giulio Rivera ©Web
Giulio Rivera ©Web

GUGLIONESI. Il trasferimento forzato di Battisti in Italia permette di riandare ad altre vicende, vecchie e consimili, che, all’epoca, furono parte non secondaria della vita politica italiana. Oggi tali storie consentono di documentare chi abbia protetto la fuga (e la latitanza) di tanti, grazie a connivenze all’interno delle sfere istituzionali ed a comode simpatie intellettuali che – per anni – hanno reso tanti colpevoli di omicidi latitanti e contenti esenti dal pagare i propri debiti alla Giustizia italiana e di rifarsi una vita altrove. Tra gli esponenti più significativi di questo terrorismo, haimé tuttora impunito, ci sono ancora Alvaro Lojacono ed Alesio Casimirri, due brigatisti rossi (che oggi contano, rispettivamente, 63 e 67 anni) che non si sono mai formalmente pentiti. I due facevano parte del commando che il 16 marzo del 1978 si rese protagonista a Roma, in via Fani, quando furono uccisi i cinque uomini della scorta dell’ex-Presidente della Dc Aldo Moro; e, tra di questi, il guglionesano Giulio Rivera, agente della Polizia di Stato, che allora contava appena 25 anni. Sette mesi dopo, insieme, i due avevano anche colpito mortalmente (alla testa) il magistrato Girolamo Tartaglione, all’epoca Direttore generale degli Affari penali.

La Corte di Cassazione, in contumacia, li ha condannati all’ergastolo, ma essi sono riusciti a fuggire ed in Italia non hanno mai scontato manco un giorno di pena. Oggi, però, nessuno dei due è estradabile perché Lojacono ha preso la cittadinanza svizzera e Casimirri ha ottenuto quella nicaraguense. Il primo, che in Italia era stato condannato a 16 anni anche per l’omicidio di Nikis Mantekas (un simpatizzante di estrema destra ucciso a Roma nel 1975), era stato arrestato in Corsica nel giugno del 2000, ma era stato subito liberato dalla Giustizia francese che non riconosce le condanne in contumacia. In Isvizzera Lojacono ha cambiato il suo cognome in quello di Baragiola; e, nel 1989, è stato condannato per l’omicidio Tartaglione a 17 anni di reclusione, scontandone solo 11 per buona condotta. Dal 1988 anche Casimirri si nasconde dietro un’altra cittadinanza, dopo di essersi sposato a Managua dove gestisce un ottimo ristorante di pesce (“El buzo”, il subacqueo), frequentato anche da reduci dell’estremismo rosso italiano.

Oggi, in occasione del trasferimento in Italia (dal Brasile) del Battisti, tutti hanno speso parole e pensieri in merito a quei fatti di cronaca così terribili per il nostro Paese. Fra le tante riflessioni merita di essere ricordata quella che va al di là di ogni retorica e di ogni possibile ideologia Luigi Lombardo, Segretario generale provinciale del Siap di Palermo ha detto:“Sono passati 40 anni. La strage di via Fani, il successivo rapimento di Moro e la sua morte costituiscono una delle pagine più oscure della storia repubblicana della nostra Italia. Oggi non scriverò ciò che penso di quegli eventi che fecero barcollare la nostra democrazia, ancora giovane e fragile, ma voglio ricordare quelle vittime di cui nessuno sembra voler fare memoria, quei servitori dello Stato di cui lo Stato stesso si dimentica. Vittime innocenti di ogni barbarie, condannati dalla morte all’oblio: Francesco Zizzi, v. brigadiere di Polizia, 30 anni; Raffaele Iozzino agente, 25 anni; Giulio Rivera, 25 anni; Oreste Leonardi, mar.llo nei Carabinieri, 52 anni; Domenico Ricci, appuntato nei Carabinieri, 42 anni”. Tra di questi c’è il molisano Giulio Rivera, nato nel 1954 a Guglionesi, che – nel 1974 - si arruolò nella Pubblica Sicurezza e venne chiamato al servizio della scorta di Aldo Moro. Il 16 marzo si trovava alla guida dell’Alfetta che precedeva la macchina del Presidente. Morì a 24 anni, crivellato da otto pallottole.

Claudio de Luca

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