«Giù le mani dal bosco Corundoli e dal resto del Molise»

Non è sindrome di Nimby lun 25 marzo 2019
Attualità di La Redazione
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La manifestazione di Roma ©Termolionline.it
La manifestazione di Roma ©Termolionline.it

TERMOLI. C’era un pezzetto di Molise, sabato, nella marea umana che ha invaso Roma per la grande manifestazione nazionale per il clima e contro le grandi opere inutili e dannose: più di 150mila persone da tutta Italia, per lo più ignorate dai media nazionali ma vive e presenti negli occhi di tutti coloro che si assiepavano ai bordi delle strade, in uno splendido pomeriggio di primavera, a veder sfilare i movimenti in lotta per le loro terre e per il pianeta.

«Da Termoli, Guglionesi. Montecilfone, Campobasso e Isernia ci siamo ritrovati con i nostri striscioni in mezzo ad una umanità colorata, rumorosa, allegra ma determinata nel gridare che nessuno di noi ha paura, e che difenderemo il diritto all’auto-determinazione dei territori.

Solo 30 persone, ma sono più che sufficienti a svegliare le coscienze; e abbiamo portato la voce di questa piccolissima regione a farsi ascoltare tra le tante grandi vertenze aperte da una politica violenta e predatoria, che sta mettendo a rischio la sopravvivenza stessa della terra – ribadiscono Trivelle Zero Molise,I Discoli del Sinarcae No Hub del Gas - c’eravamo tutti: No Tav, No Triv, No Mose, No Tap, No Muos, No Ilva, No Snam, No Grandi Navi, Mamme contro i Pfas, Forum dell’Acqua e centinaia di altri: tutti i visi e le forze territoriali che da anni scrivono la storia bella di questo paese, mettendo insieme dal basso realtà ed emergenze. E se le sigle per necessità di sintesi cominciano con un No, sappiamo ormai tutti che dietro quel no ci sono dei Sì concreti e costruttivi, e proposte pronte a farsi carico di quel cambiamento globale verso la giustizia sociale e climatica che abbiamo ormai pochissimo tempo per attuare.

Certo, come da copione siamo stati fermati e perquisiti dalla polizia; certo, giornali e televisioni nazionali ci cancellano. E’ evidente che dà molto fastidio ascoltare la piazza di ieri, veder mettere in discussione il fallimentare modello di sviluppo infinito che ci impongono. Diamo fastidio perché diciamo che questo modello, che considera territori e ambiente unicamente come risorse da sfruttare, va fermato subito, dato che è lo stesso modello liberista che fa arricchire pochi e impoverire molti; che spinge alle migrazioni, che produce guerre, che istituzionalizza precariato, sfruttamento e tensione sociale. Che continua a fondarsi sui combustibili fossili, contro i quali il 15 marzo due milioni di giovani sono scesi in corteo.

Ma tra bande di strada, balli, bandiere e striscioni quello che la piazza di ieri a Roma ha dimostrato è che siamo tutti parte di un grande movimento unitario, nel quale nessuno lotta per difendere solo il proprio piccolo cortiletto: come invece recita l’ormai stantio ritornello,“Not in my backyard”, non nel mio cortile, con il quale credono di metterci a tacere. Non c’erano sentimenti egoistici, ieri, mentre per ore il corteo immenso si snodava da Piazza della Repubblica a Piazza San Giovanni, e la lotta di uno è diventata lotta di tutti, nella quale il gasdotto Chieti-Larino, il bosco di Corundoli, il tunnel di Termoli e le trivelle erano responsabilità assunta da tutti, tanto quanto la Tav.

Il nostro cortile è il mondo, perché difendere il territorio chiedendo di essere ascoltati significa difendere il pianeta, dovunque si alzi una voce in lotta. Ed è bello sapere che la grande partecipazione dei comitati No Trivelle e No Gasdotti dell’Italia centrale e meridionale, quasi un terzo del corteo, è nata ed ha cominciato ad organizzarsi nell’assemblea interregionale di Termoli il due febbraio scorso. Il sogno e la proposta nati a Termoli camminano ora sulle nostre gambe, nella nostra passione e nella nostra intelligenza, ha scritto oggi Renato Di Nicola, del Forum dei Movimenti per l’Acqua: e ora sta a noi organizzarci, avere consapevolezza e capacità di incidere. A partire da subito; noi ci siamo, consapevoli che nello sfacelo di oggi è necessario ricostruire socialità e autodeterminazione a partire dai luoghi che abitiamo e dal nostro quotidiano. In tanti lo stiamo già facendo».

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