“Così siamo diventati senza tetto”: le storie di Peppe, Collins e Angela

L'inchiesta mar 21 maggio 2019
Attualità di Alessandro Corroppoli
5min
Un senza tetto ©Gabriella Tutolo
Un senza tetto ©Gabriella Tutolo

TERMOLI. Prosegue l’inchiesta sui senza tetto e senza fissa dimora. Basta poco per perdere affetti e lavoro e ritrovarsi senza casa e finire in mezzo alla strada. Abbiamo incontrato e parlato con alcuni senza dimora, al centro ascolto della “Casa degli Angeli” a Campobasso, che ci hanno raccontato le loro storie, il loro presente e la speranza di emergere dalla marginalità nella quale sono finiti.

Spesso si pensa che il ritrovarsi per strada sia l’ultimo gradino di una scala di progressivo impoverimento causato da uno o più eventi traumatici: la perdita del lavoro, la separazione dal partner, lo sfratto, la malattia. No, l’ultimo stadio della marginalità è essere invisibile agli occhi della società. Peppe, Collins e Angela sono solo tre delle persone che sono riuscite a sfuggire all’indifferenza grazie all’accoglienza di Don Franco D’Onofrio e a tutti gli operatori e volontari della Caritas di Campobasso.

E’ ora di pranzo, alla mensa della Casa degli Angeli, fuori piove e i commensali piano piano stanno terminando il loro pasto. Insieme a Don Franco chiediamo chi di loro abbia voglia di scambiare due chiacchiere per raccontarci qualcosa. Molte facce titubanti, altre si nascondono tra il piatto e l’ultimo boccone ma altre, con sguardo fiero, accettano di buon grado.

Passo svelto, felpa e marsupio a tracolla. Il primo a raggiungerci nella sala adibita come centro ascolto è Beppe. 61 anni, di origini napoletane ma da oltre 20anni a Campobasso. Dopo le presentazioni di rito il suo biglietto da visita è stato: “sono libero vigilato” al ché chiedo, per conferma: “in libertà vigilata, ho capito bene?”. La sua risposta è un sì fatto con la testa ciondolante. Beppe è un ergastolano che ha passato gli ultimi 26 anni dietro le sbarre, prima a Napoli e poi a Campobasso. “Ho una moglie e dei figli che mi aspettano a casa”. Lui definisce “disgrazia” il fatto che lo ha portato in carcere, episodio sul quale non vuole tornare perché mette subito in chiaro che: “ho sbagliato, ho commesso degli errori e sto pagando per questo”.

Ma ciò che veramente colpisce di Beppe è quando inizia a parlare della sua nuova vita. “Ho perso tutto dalla casa al lavoro e quando dal carcere mi hanno dato la possibilità di uscire in libertà vigilata, ero felice ma non sapevo dove andare”. Beppe stava passando dal tetto sicuro della casa circondariale a quello precario del cielo campobassano con il rischio di dovere rinunciare alla sua libertà. Ma qui interviene la Caritas, che dopo diversi colloqui, lo accoglie nella propria struttura. “Fondamentalmente sono un senza dimora perché se non ci fosse stato Don Franco molto probabilmente sarei ancora in carcere”. Uscito nel febbraio del 2016, da un anno e mezzo è ospite del centro. “Mi adopero per dare un aiuto a tutti, cerco di essere utile così ricambio l’ospitalità”. Un prodigarsi che gli è valso una stanza tutta per se. Beppe usufruisce di una pensione d’invalidità ed è stato inserito in un percorso formativo abitativo che possa aiutarlo a trovare una nuova sistemazione. “La mia giornata è molto semplice: dopo la colazione vado in Corso Bucci, dove c’è il mercato. Lì aiuto un mio amico che ha un banco con la frutta. Poi torno qui per il pranzo e nel pomeriggio, se non ci sono impegni in Caritas, esco nuovamente per la città”. Beppe sta per salutarci, ci stringe la mano e “quando si entra in carcere e si vive quel mondo, si pensa che di peggio non ci sia nulla. Invece mi sbagliavo: qui ho capito che c’è gente che sta peggio”. Una confessione che fa commuovere lo stesso Beppe: gli occhi si arrossiscono e la stretta di mano diventa più morbida e si trasforma in un sincero abbraccio.

Pochi minuti e dalla porta entra un omone di colore, con un sorriso smagliante e berretto di lana in testa. Cammina e chatta con il suo smartphone. Saluta e si accomoda dove gli indico. Collins è un ragazzo nigeriano di 40 anni che da 4 anni è in Italia. “Sono ospite Caritas da oltre tre anni - dice in un buon italiano - . Sono venuto in Italia per cercare un lavoro e aiutare i miei figli in Nigeria”. Collins è un migrante economico che dopo aver lasciato il suo paese e attraversato il mediterraneo, è arrivato a Lampedusa e da lì trasferito in un centro d’accoglienza. Qui riceve i primi documenti e trova un lavoro precario che lo illude. “Lascio il centro e cerco una casa. Avevo un lavoro che però è durato poco e pagato male”. Così nel giro di breve tempo si trova senza lavoro, senza soldi e senza casa. Bussa alla porta della Caritas che lo accoglie e lo inserisce sin da subito nei suoi progetti formativi. Oggi Collins lavora part-time in uno dei mulini del capoluogo. “Sono felice perché il lavoro mi piace e qui al centro sto bene”. Ma il lavoro è a tempo determinato, sette mesi, la scadenza a ottobre. “Vorrei continuare a lavorare per poter trovare una casa tutta mia “. Ecco l’esigenza di avere una casa, un tetto sotto il quale stare.

Un tetto che viene a mancare quando si è più deboli e fragili come è capitato a Angela. Non vuol farsi fotografare ed è restia a parlare. La fermiamo sull’uscio della porta del suo alloggio che si trova a ridosso del centro ascolto. Angela, 56enne di Campobasso, da tre anni vive in Caritas da quando è diventata una senza fissa dimora. “Io mi trovo qui perché sono stata rifiutata dalla mia famiglia”. Il suo viso, giovane, è scalfito da qualche ruga e scavato nelle guance dai problemi di dentatura. Capello corto e sguardo attento, così come le poche parole che ci concede. “Io vivevo con i miei genitori, facevo dei lavori saltuari ma più che altro accudivo i miei genitori. Mio padre, pensionato e invalido civile, viene a mancare e dopo poco mia madre cade e si rompe il femore”. Ed è ora che iniziano i problemi per Angela. “Dopo l’operazione mia madre decide di andare a vivere da mia sorella lasciandomi sola a casa. Con i miei piccoli lavori non riesco a mantenermi così chiedo aiuto a loro”. Dapprima chiede dei soldi per pagare le bollette e l’affitto “ma non arriva nulla”. E dopo, quando gli arretrati son troppi e il proprietario di casa la sfratta “Chiedo di essere ospitata ma vengo rifiutata”. Angela cade in depressione e inizia a girovagare per la città fino a quando non viene presa in custodia dalla Caritas. Qui grazie alla residenza fittizia “via senza fissa dimora” riesce ad ottenere l’accesso al Rei e ora “ho fatto richiesta per il reddito di cittadinanza”. Siamo in piedi dinanzi alla porta della sua camera, Angela ha in mano una mela che fissa e agita in continuazione mentre conversiamo. Si confessa, i suoi occhi guardano la mela e il pavimento. Si sente in imbarazzo, indifesa e vorrebbe scappare dentro la sua camera chiudersi dentro e isolarsi dal mondo. Non le chiedo nulla, tendo la mano per salutarla e lei, invece mi abbraccia e mi dice “grazie”.

Alessandro Corroppoli - foto di Gabriella Tutolo

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