«Rievocare fatti storici rimane opera fine a se stessa»

Controcanto lun 26 agosto 2019
Attualità di Claudio de Luca
3min
Il sito archeologico di Larino ©https://www.sitiarcheologiciditalia.it
Il sito archeologico di Larino ©https://www.sitiarcheologiciditalia.it

LARINO. Rievocare fatti storici, facendo mercimònio di luoghi e di cimeli, rimane opera fine a se stessa.

La negligenza dei Larinesi per il patrimonio archeologico cittadino è cosa notoria. Come raccontato in altro articolo, se ne lamentava don Levante, canonico in Larino; ma soprattutto personaggi con nomi di ben più illustre riguardo storico-letterario. Ai suoi tempi, Vincenzo Cuoco (ne “Il Platone in Italia”)ne scriveva negli eloquenti termini che seguono: “Gli edifici dell’antica Larino sussistono ancora in parte. Ai tempi nostri vi si vedevano gli avanzi delle Terme, di un Pretorio, di un Anfiteatro, di un tempio di Marte, di un altro di Giunone Feronia, etc. Di poche Città antiche sono rimasti più monumenti in paragone della loro grandezza, giacché Larino non era grandissima. Ma di tali monumenti non si è avuta veruna cura. Chi scrive li ha visti rovinare di anno in anno senza che né ai Larinati né al Vescovo (che pure dovrebbe essere un uomo di qualche cognizione) né al Duca di Larino (che pure ha 40mila scudi di rendita all’anno) sia mai venuto in mente che il custodirli potrebbe essere utile e glorioso. Tra pochi altri anni appena se ne leggeranno le memorie nelle storie di monsignor Tria da cui le descrizioni sono fatte malissimo”.

Alle difficoltà di rintracciare luoghi (i cui nomi non corrispondono più a quelli odierni) si aggiunge quella – come annota la professoressa Ornella Freda -dovuta alla diffidenza o all’ignoranza di alcuni privati che non si pongono affatto il dubbio che il materiale archeologico debba servire a qualcosa di meglio dell’abbellimento di salotti e ville; anzi, a costoro, dà fastidio chi “abbia in mente di turbare uno stato secolare di ‘quiete’”. Tutto ciò spiegherebbe perché al Museo provinciale del capoluogo molisano si ignori dove siano finite almeno otto epigrafi colà esposte sul finire dell’ ‘800. Qualcuno avanza l’ipotesi che esse possano essere al Museo nazionale di Napoli unitamente a tanto altro materiale archeologico larinese. A dimostrarlo c’è la testimonianza di uno studioso che ebbe a fotografarle nel 1952. Eppure i reperti epigrafici venuti alla luce durante lavori di studio o nella costruzione di nuove case sono stati tanti. E qualcuno (come la citata docente - in quiescenza - Ornella Freda) ha confermato di avere “assistito, di persona, al triste spettacolo di resti di mura o di edifici antichi fatti saltare in aria con le mine. Tante epigrafi restano nel luogo dove sono state rinvenute oppure, se maneggevoli, collocate in collezioni private o – per motivi ancora meno nobili – per tenere ferma una porta”.

Eppure la necessità di doversi apprestare, in Larino, un Museo municipale è stata sempre sentita. Ne accennava, già nel secolo scorso, l’Albino, riferendosi a materiali “esposti alle ingiurie degli uomini e del tempo” e di una Commissione incaricata per la conservazione dei monumenti e degli oggetti d’arte. Il fatto è che, oggi, un Museo larinese non c’è ancora, eccezion fatta per alcuni locali del Palazzo ducale dove sono stati raccolti dei mosaici, alcune epigrafi e pochi altri ruderi. “Non mi meraviglierei – scrive ancora la Freda – se epigrafi già date per smarrite tornassero fuori all’improvviso od altre se ne scoprissero”.

Ne “L’Impero in provincia” Francesco Iovine ci lascia capire quale sia stato, soprattutto in una determinata tempérie storica (che, purtroppo, ancora persèvera), certo ottuso dogmatismo praticato dagli adepti Fascisti locali nei confronti delle antichità, sempre sottolineate (per sentirsi più importanti!) ma mai realmente amate. Nel secondo racconto della sìlloge (“Il monumento storico”) lo scrittore guardiese racconta: i gerarchi romani hanno ‘ordinato’ e – quindi – occorre precipitarsi a solennizzare una data organizzando una marcia ed una commemorazione presso un antico rudere; ma a Guardialfiera non ve n’è. E qui sembrerebbe quasi di vedere taluni odierni Larinesi ‘sbracarsi’ per il lustro che verrebbe alla Città dalla rievocazione di certi fatti storici, peraltro ignoti nella loro più autentica sostanza storica, senza essersi mai impegnati – nei fatti – alla salvaguardia di luoghi e di cimeli.

Non va scordato che nel centro frentano sono in tanti a percorrere il territorio alla ricerca di reperti di varie dimensioni o di monete da porre, poi, nel commercio spicciolo per semplice brama di danaro, eccezion fatta per quelle persone che invece, abbiano a farne riconsegna alle Autorità come nell’ultimissimo caso del cippo dedicato a un vescovo dell’antica Diocesi di Larino.

Claudio de Luca

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