«A Guardialfiera mi innamorai del Sud»: Feltri racconta la sua infanzia in Molise

stregato mer 06 novembre 2019
Attualità di Michele Trombetta
3min
«A Guardialfiera mi innamorai del sud»: Feltri racconta la sua infanzia in Molise ©Termolionline.it
«A Guardialfiera mi innamorai del sud»: Feltri racconta la sua infanzia in Molise ©Termolionline.it

TERMOLI. Vittorio Feltri, noto giornalista italiano fuori da ogni schema e fuori dal coro, direttore del quotidiano Libero ed ex direttore del Giornale, è uno che non le manda a dire, le dice in faccia e senza peli sulla lingua a tutti, nessuno escluso, per questo probabilmente è inviso a quella che possiamo considerare la casta. Ecco, di Vittorio Feltri è in questi giorni uscito il nuovo lavoro letterario, "L’irriverente. Memorie di un cronista". Perché il nostro interesse per il nuovo libro di Feltri? Perché in questo libro il direttore di Libero parla di come è nato il suo amore per il Sud Italia, e quando parla di Sud, già ricordato in altre occasioni, si riferisce al Molise e scrive questo:

"Visitai il Sud per la prima volta quando era appena finita la guerra. Ero molto piccolo, avrò avuto 5 anni, ma mi è rimasto impresso nella memoria il lungo viaggio per raggiungere lo zio Ernesto e la zia Nella. Quest' ultima era una delle sorelle di mia madre, la quale insieme a suo marito da Bergamo si era trasferita in Molise, a Guardialfiera, poiché lo zio, che era perito agrario e aveva una particolare abilità nell'amministrare aziende agricole, era stato chiamato in quella regione per governare un feudo molto ampio da un certo signor Baranello, latifondista che risiedeva a Campobasso ma era napoletano di origine".

Il direttore poi racconta del suo primo viaggio quando era poco più di un bambino da Bergamo in Molise: "Ci comunicarono che c' era una specie di impedimento a proseguire e dovemmo scendere dal vagone per salire su un carro bestiame, che ci avrebbe condotti a Termoli, il primo comune del Molise. Fu una trasferta simile a quella che compiono gli extracomunitari che intendono toccare il suolo europeo. Dodici ore di viaggio, in quelle condizioni, su un adulto pesavano tanto, poco però su un bambino che continuava a stupirsi di tutto ciò che intravedeva dal carrozzone di legno. Finalmente giungemmo a Termoli, tuttavia l'avventura non era ancora terminata: occorreva lasciare il vagone riservato alle bestie e prendere un treno diretto a Campobasso."

Giunto dopo tante peripezie a Guardialfiera dove vivevano gli zii, il giovanissimo Feltri s'innamorò subito del Molise e di Guardialfiera naturalmente: "Il soggiorno in Molise si fece esaltante nel momento in cui lo zio Ernesto mi portò in campagna col biroccio, assoluta novità per me che vedevo i cavalli e i calessi passare ogni tanto da lontano in quel di Bergamo. Ne ero affascinato e mi innamorai durante quella mia prima estate molisana anche un po' del Sud. Del resto, vivevo una situazione completamente diversa da quella consueta. Mi fermavo a Guardialfiera anche tre mesi, senza mia madre che, essendo vedova, lavorava senza requie per mantenerci. [...] Era il principio degli anni Cinquanta, non esistevano pericoli, neanche le auto c' erano da quelle parti. Inoltre, mi conoscevano tutti e venivo trattato con cura e rispetto. «È il nipote di don Ernesto» sentivo spesso esclamare al mio passaggio. Questo succedeva nel mio Sud".

Insomma Vittorio Feltri ama il Molise come fosse la sua terra e i molisani come fossero suoi corregionali e amici e l'ultimo stralcio del capitolo sul sud parla proprio di questo: "Negli anni ero diventato amico di un ragazzino che faceva il sarto, e andavamo insieme al fiume, il Biferno, a fare il bagno. Il suo nome era Nicola. Trascorrono tantissimi lustri e un giorno viene un tassista al «Giornale», il quale chiede in portineria del direttore, ossia di me. Non avevo idea di cosa volesse. Dico al custode di farlo salire. Era lui. È entrato nella mia stanza e l' ho riconosciuto. Mi sono commosso, sono stato travolto dai ricordi. [...] Ci siamo abbracciati in silenzio. Le estati in Molise sono state le più esilaranti della mia esistenza. Quando tornavo a Bergamo, parlavo più volentieri il guardiese che il bergamasco, poiché il Sud lo vivevo davvero, stavo sempre in strada con i miei amici, da scapestrati, mica chiuso in casa come in città alta".

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