Supestrada Tirreno-Adriatico: 900 milioni per l'arteria che forse parte dal porto

Sogni lun 20 gennaio 2020
Attualità di Antonio Fusco
20min
Pulizia del porto ©Termolionline.it
Pulizia del porto ©Termolionline.it

TERMOLI. E’ scontato che una superstrada a quattro corsie, per di più “strategica e indispensabile”, può favorire il collegamento trasversale dall’Adriatico al Tirreno per la nostra regione. Senza dubbio è un ottimo lavoro dal punto di vista tecnico-viario, paesaggistico, culturale, diciamo pure di impatto economico, da non mescolare però con l’ isolamento delle aree interne del Molise i cui comuni sono a rischio estinzione per lo spopolamento, non certamente per mancanza di trasversali veloci,ma per ragioni di tutt’altra natura.Inutile nascondere che il nostro territorio ha una radice terranea sin dall’antichità, come scrive Platone (428/347 a.C.), “il carattere degli uomini cambia in rapporto alla distanza che li separa dal mare; entro 20 stadi (km. 14,700) si ha un carattere, oltre tale distanza se ne ha un altro, in quanto il contadino senza mare, ossia un facile sbocco commerciale, non produce più di quanto gli serva per nutrirsi”.Dio, poi, fece il mare ed è per merito di esso, in particolare del Mediterraneo, che nascono e si sviluppano le prime grandi città e conseguentemente la civiltà occidentale. Del resto anche i romani riescono a costruire l’impero solo quando scoprono l’importanza del mare e 2000 anni fa conquistarono il mondo.

Il nostro Paese, lungo 1200 km. e largo 250, con 7456 km di costa, non è che il retroterra di una grande flotta. Nonostante ciò, è opinione diffusa che non solo non esista una grande coscienza marinara, ma non esista neanche una grande tradizione culturale marinara, malgrado alcune meritorie eccezioni, seppur episodiche, legate al periodo storico delle Repubbliche marinare. E’ quindi una disaffezione che viene da lontano.

Tuttavia la “marittimità” dell’Italia, cioè la nostra “naturale” e storica propensione a essere proiettati sul mare, sembra in gran parte esistere e svilupparsi nel corso dei secoli “malgrado” gli italiani, nel migliore dei casi, rimangano profondamente diffidenti nei suoi confronti.

Sembra quasi che facciamo fatica ad avvicinarlo e ad ascoltarlo, e non consideriamo che la sua presenza influenza la struttura economica di una regione, di un Paese sotto diversi punti di vista:

  • in quanto via di comunicazione;
  • come fonte di risorse naturali;
  • come sede di attività turistiche, ricreative, sportive (comunque legate a caratteristiche ambientali).
  • commerciale: trasporto, sbarco/imbarco, deposito, trasbordo merci e persone, attività di servizio;
  • industriale: lavorazione delle merci e costruzione dei mezzi di trasporto.
  • politica dei trasporti: attraverso lo sviluppo del trasporto marittimo nelle tre componenti (cabotaggio nazionale, trasporto europeo e mediterraneo), in complementarietà alle reti terrestri sempre più prossime alla saturazione;

In tale contesto, i porti – da sempre una delle componenti più importanti nel sistema di trasporto di un paese – giocano oggi una partita in cui rivestono un ruolo non solo di congiunzione tra trasporto marittimo e terrestre, ma spesso anche come di vero e proprio centro vitale di attività logistiche e imprenditoriali.

Al porto fanno capo 2 funzioni:

Ciò vuol dire che deve esserci uno stretto rapporto tra il porto e la città stessa.

Nel Medioevo le invasioni barbariche spopolavano le città, l’epidemia spopolava il paese, allontanando o eliminando gli abitanti.

A volte però è il passato a darci gli strumenti per capire meglio il presente, cogliere ciò che sta succedendo alla luce di ciò che è già successo, dare un senso nuovo agli eventi. Uno studio recente (5/2018) condotto da Cecilia Reynaud e Sara Miccoli – Dipartimento Scienze Politiche l’Università di Roma - sul Fenomeno di spopolamento ed invecchiamento nei comuni italiani evidenzia :“Dalla seconda metà del ‘900 ad oggi, in Italia, si sono verificate profonde trasformazioni nei processi demografici. In Italia, a causa del continuo calo delle nascite e della parallela diminuzione della mortalità, il saldo naturale (differenza tra nascite e morti) risulta negativo da diversi anni. La crescita della popolazione è, quindi, da attribuire al solo saldo migratorio (differenza tra immigrazione ed emigrazione). Dalla metà degli anni ’90, senza il contributo della presenza straniera, la popolazione italiana avrebbe, quindi, cominciato a sperimentare una variazione negativa del suo ammontare. A livello sub-nazionale, però, già dagli anni ’50 molti territori hanno sperimentato e stanno sperimentando un processo di diminuzione della popolazione, che può essere, nelle piccole aree, denotato come spopolamento. In queste aree, infatti, ad un saldo negativo tra nascite e morti, si è affiancato e si affianca un saldo migratorio negativo. In territori marginali del paese il fenomeno dell’emigrazione, iniziato negli anni dell’industrializzazione, non si è mai concluso. Ad oggi, la popolazione italiana risulta essere una delle più invecchiate al mondo. Conclusioni : lo spopolamento e l’invecchiamento nei comuni stanno continuando ad essere molto significativi. Emerge una differenza importante tra territori del Nord e del Mezzogiorno, che appare l’area che, da un punto di vista demografico, si trova ad affrontare adesso importanti sfide, avendo però a disposizione meno strumenti rispetto ad un Centro-Nord più avanzato economicamente e socialmente.Spopolamento ed invecchiamento sono dunque il risultato complesso di varie dinamiche demografiche. Questi processi pongono delle sfide socio-economiche ed ambientali molto serie. Soprattutto nei territori in cui lo spopolamento è intenso, la sostenibilità politica ed economica può essere fortemente messa in discussione. Un intenso invecchiamento non sembra sostenibile, ancor di più se unito ad un costante spopolamento. Elevati livelli di questi due fenomeni definiscono delle vere e proprie aree di malessere demografico dove, in assenza di azione esterna, un recupero sembra molto difficile. Ma, al contempo, è diventato anche sempre più evidente un flusso di uscita di giovani in cerca di un futuro migliore”.

Nel Molise, a questa riduzione annunciata bisogna porre rimedio semplicemente rendendolo attrattivo nella sua compostezza, piacevole dal mare ai monti, avere numerosi ammiratori al punto di lasciare spopolati gli altri luoghi.

Noi siamo come una ricca miniera di ottimo carbone che non riusciamo a scavare! Facciamo allora l’annuncio “cercasi minatori “, richiamando molto pubblico, grande folla e sarà come l’acqua che cammina, che scorre per le vie che nessuno insegna. Qui la gente è particolarmente caratterizzata dall’assetto dei luoghi in cui vive e lavora. L’allontanamento dal territorio, iniziato da oltre un secolo, sollecitato anche dall’impoverimento degli abitanti e di molti giovani in cerca di un futuro migliore,non è solo del Molise, ma è uno dei grandi temi dei nostri tempi. A caso e ad esempio si riporta lo stralcio di una notizia storica e significativa tratta da un testo scritto da Massimiliano Marzillo, storico contemporaneista docente presso l’Università degli Studi del Molise “Antifascisti-Chi è Maria Ciarravano: ” omissis ……. Maria Ciarravanonacque aSalcito (Campobasso) il 9 aprile 1904 da una famiglia di contadini i quali, come molti, in quegli anni furono costretti a emigrare per non soccombere a quel destino di miseria e di fame che caratterizzava il Molise e l’intero Mezzogiorno d’Italia. Approdano a Roma, Maria è appena quattordicenne e viene avviata ad apprendere il mestiere di sarta….omissis”. Va anche considerato che nelle nuove generazioni è fortemente sentito l’aspetto positivo della mobilità, cioè fare nuove esperienze e confrontarsi con altre culture. Come altrettanto vero che negli ultimi decenni l’Italia è diventata un paese di immigrazione, con una continua crescita della popolazione di cittadinanza straniera.

Chi viaggia vede, osserva, studia civiltà diverse dalla nostra ed allarga le proprie conoscenze. Il viaggio uniscelo spazio e iltempo attraverso il movimento. Un’esperienza, che la rappresentazione di quanto si vede apre gli orizzonti, non solo fisici, ma anche culturali, che costruisce e modifica la prospettiva sul mondo, di conoscere e capire facendo uscire dal processo di “territorializzazione”, cioè l’incapacità di vedere il luogo se non in termini territoriali, presupposto eterno che le società siano strutture delimitate.

Rileggendo la vicenda di Ulisse, il viaggio non può consistere solo nell’approdo al porto finale, ma nel superamento di mille pericoli, ostacoli, prove e nella verifica di mille esperienze. Esso è dunque una prova di conoscenza, lo stimolo alla ricerca del nuovo, l’attrazione o repulsione per ciò che ci è estraneo, la sfida nel confronto, la capacità di adattamento a situazioni imprevedibili. Ogni viaggio rivela il gusto del rischio e dell’avventura.Soprattutto il viaggio in mare è del resto metafora della vita, è simbolo dell’inquietudine dell’uomo, della sua sete di conoscenza, del suo bisogno di mettersi alla prova sfidando l’ignoto, dell’itinerario della sua stessa esistenza.

Diceva un saggio: “ Insegnami a camminare non a parlare che a parlare si impara camminando”. La mente fuori dai propri confini natii si dilata. In essa si imprimono persone e cose, luoghi e storie che rimangono come bagaglio culturale da tirar fuori all’occorrenzacome i cassetti di Dalì. Si esorcizza il passato ricercando elementi e fatti che riguardano i modi in cui si è vissuti, la paranoia-critica vissuta nel proprio paese che consiste nella delusione sistematica,la ricerca di un livello di vita più alto, di una scelta di vita diversa dalla “tenda nera dei beduini” che rappresenta singolari edifici che si adattano ai luoghi dove sono collocati come soluzioni estreme in ambienti particolari.E’ chiaro che il paese dove si nasce accomuna un forte senso di appartenenza che impedisce di lasciar perdere ed alimenta come unica passione: “lo stare fermi”. Sul nostroci accomuna un forte senso di appartenenza che ci impedisce di lasciar perdere.

Oggi abitiamo i flussi, siamo eredi dell’intelletto urbano e metropolitano e ciò ci spinge verso una direzione di ulteriore nomadismo. Del resto la città, così come esiste, oggi sfugge alla nostra conoscenza e al nostro controllo. Abitiamo nei flussi, staccandoci dalla radice terranea dell’abitare: abitiamo passando, transitando e abitiamo architetture provvisorie, transitorie, consapevoli del massimo pericolo di sradicamento. E oggi la globalizzazione, in modo transitorio e violento, porta allo sradicamento. I tempi e gli spazi dell’economia sono pensati in funzione degli scambi, quelli della politica in funzione della stabilità. Una città è un locale non più confinato, una città entro uno stato non termina al suo confine geografico ma si “estende” e si “spande” sullo stato complessivo. Oggi questa estensione non è più sullo stato, ma sul mondo.

Come si puòper tutta la vita viaggiare nello stesso piccolo paese e credere che non ci sia nulla al di fuori di esso. Dalla vetta non si va in nessun posto, si può solo scendere, e per ritrovare la via di casa devi solo mettere un piede dopo l’altro.
Ecco a che serve camminare:

. Quando vivi in un luogo a lungo diventi cieco perché non osservi più nulla. Io

viaggio per non diventare cieco (Losef Koudelka);

. E’ il cammino che ci insegna sempre la maniera migliore per arrivare e ci arricchisce

mentre lo percorriamo(Paulo Coelho);

. La cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili (William Burroughs);

. Il mondo è un libro e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina

(Sant’Agostino);

. Non mi dire quanto sei educato e colto, dimmi quanto hai viaggiato (Maometto);

. Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza (Dante

Alighieri);

. I pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo (Soren Kierkegaard).

Un ulteriore segnale è dato dallo scarso interessedel territorio nei confronti del mare costituito dalla poca attenzione che, nei confronti di esso, è prestata dagli amministratori. Le cause di ciò sono solo in parte da attribuire alle logiche commerciali che regolano il settore, ma dipendono essenzialmente dall’assenza di una politica culturale di alto profilo, che dovrebbe iniziare sin dai banchi di scuola e accompagnare i giovani lungo tutto il proprio percorso formativo. La nostra formazione, basti pensare al materiale didattico della prima infanzia, è prevalentemente basata su riferimenti terranei, e il posto riservato al mare è generalmente relegato in ambiti marginali, quasi irrilevanti, e comunque generalmente legati al sistema dei consumi: il mare come spiaggia piuttosto che come ecosistema o settore economico. “Il mare unisce i paesi che separa” (A. Pope). Solo per merito dell’uomo che nell’arco dei secoli si è spinto fino a varcare i limiti dell’ignoto mettendo in contatto popoli e culture molto diverse tra loro sulla spinta di interessi economici e commerciali che nel corso del tempo si sono talmente consolidati da trasformare il mare in una sorta di “collante delle civiltà”. Grazie al mare e a coloro che lo solcarono, rendendo possibile la traversata alla vite fino a noi, nel 2000 a.C. Di ciò sono coscienti tutti, istituzioni, operatori economici e finanziari, uomini di cultura, ritenendo indispensabile il far fronte alla liberalizzazione e alla globalizzazione dei mercati che si va ripercuotendo sull’economia marittima nazionale con effetti macroscopici.

Ciò è ritenuto tanto più urgente in considerazione del fatto che lo sviluppo dei trasporti marittimi costituisce, come da qualche anno indicato dalla Unione europea, l’alternativa obbligata alla saturazione delle infrastrutture terrestri, non solo con evidenti vantaggi economici (il trasporto merci via strada-mare costa il 35% in meno di quello tutto-strada), ma anche e soprattutto per quelli ambientali.

Se sviluppare il cabotaggio sfruttando le “autostrade del mare” adiacenti alle nostre coste e sviluppare lo short sea-shipping europeo è talmente logico da “risultare un' affermazione banale”, non sono altrettanto banali le modalità di intervento che vertono sulla integrazione tra terra e mare, trasporti terrestri e marittimi.

Ho un rapporto profondo con il mare perché sono nato in Termoli, mio nonno era pescatore e mio padre marinaio. La mia vita è sempre stata condizionata dal mare. Sono nato a 50 metri dall’acqua e da ragazzino venivo gettato in mare per forza senza possibilità di aiuto. Faccio parte di una famiglia che ha sempre visto il mare come un’opportunità di lavoro, come una fonte di reddito. Anch’io da ragazzo sono stato in cerca di un futuro migliore, con nuove esperienze in paesi con altre culture per allargare le mie conoscenze, lavorando nello shipping dove, oltre al mare in sé, un aspetto molto importante era il tipo di civiltà che sul mare e attraverso di esso si è sviluppata. Così il mare è diventato mio complice e compagno di vita, al punto di definirmi oggi il “rigattiere del mare”, cioè vendere e comperare legni modellati dall’acqua salata e dalle onde, che il mare regala alla riva dopo le sue burrasche. Certe volte penso anche a Don Chisciotte.Ho provato spesso a fare qualcosa per il Molise e per Termoli ma,anche a fronte di ottimi risultati, non sono riuscito ad incidere sulle realtà locali.

Il mare è comunicazione, un fattore di collegamento storico culturale con i paesi vicini, per cui il Mediterraneo costituisce la spinta culturale e scientifica alla comunicazione tra questi paesi. Il destino dei popoli e l’evoluzione delle civiltà passa sempre più per il mare. Il potere economico, politico, militare, sociale e culturale appartiene a chi sa governare il mare e i porti.

Le radici millenarie delle civiltà traggono origini nel bacino Mediterraneo che da sempre è un crocevia antichissimo, dove tutto vi confluisce arricchendo la storia. La civiltà di bronzo sarebbe stata impensabile senza la navigazione mediterranea. Osservare il Mediterraneo dal punto di vista di un porto vuol dire scrutarlo nella sua natura di spazio percorribile, territorio di interscambio non solo merceologico, ma anche culturale e sociale. In tale contesto i porti del Mezzogiorno hanno un fattore di attrazione naturale che è il loro posizionamento strategico che permette loro di attirare, oltre alle navi, anche capitali e finanziamenti disponibili che consentono lo sviluppo tra investitori e comunità portuale a vantaggio del territorio circostante.

Negli ultimi anni l’interesse economico del nostro territorio, nonostante sia per una parte sul mare, si è rivolto più alla terra che al mare. Abbiamo avuto scarsi investimenti sul mare e infatti la barca non è concepita come mezzo di trasporto, ma esclusivamente come un mezzo di svago e soprattutto come uno “status symbol”. La cultura del mare nella nostra regione non esiste, cosa spiacevole sia per la posizione geo-politica che per la tradizione storica. Il sintomo di ciò è proprio la scarsa presenza del territorio sul mare che denota, nel passato ed oggi ancor più, l’assenza di strategie e di una politica culturale a sviluppo e sostegno del mare. Infatti, nonvuole essere una ripetizione, sembra che Termoli sia uno sbocco a mare quasi casuale di un posto per cui la costa è un curioso incidente della Storia e perciò ignoriamo anche che una città di mare senza un porto è una città senza passaporto, vale a dire non va mai oltre i propri confini.

Il rapporto che la maggior parte delle famiglie ha oggi con il mare è di tipo tradizionale, che è forse il meno interessante, ovvero stando al sole e andandosi a fare il bagno. Se si va in Grecia e si parla con i bambini lungo la spiaggia si capisce che conoscono i problemi del mare. Noi non li conosciamo, malgrado siamo un paese sul mare ma non di navigatori.

Ci troviamo dunque in una situazione di necessità diriscoperta dell’economia marittima anche per i gravi problemi di congestionamento e intasamento del trasporto su gomma e su ferro.

Manca da sempre nella nostra Regione ed all’Ente localeun governo con una visione dell’economia marittima che vada oltre la battigia e oltre il trabucco, in grado di armonizzare le risorse e di concentrare gli investimenti. I privati, il settori del cluster marittimo possono solo contribuire con investimenti nelle attività portuali, in organizzazione logistica e formazione professionale. Non è importante avere a disposizione un grande porto, ma occorre una struttura logistica ed organizzativa in grado di creare modalità facili e dirette di accesso in porto, quindi collegamento porto-sistema stradale, autostradale, perché quello che è mancato al nostro Paese è stata proprio una visione integrata dei trasporti. Si sono sempre viste le cose in maniera parcellizzata, mentre il trasporto via mare è una modalità che va inserita in un sistema. “Il traffico via mare è condizionante per la vita futura del Paese”, la flotta può essere di un altro, il porto è nostro”.

Per quanto riguarda il futuro è necessario che i vari interlocutori concordino sulla necessità e opportunità di ricollocare il mare al centro del processo di sviluppo della Regione, sia per motivi di ordine strategico/politico che economico, con proposte e modalità di intervento che possono essere ricondotte all’interno dei seguenti ambiti:

-sul sistema infrastrutturale: tendendo sia al rafforzamento che all’innalzamento di efficienza del sistema;

- infrastrutturale: attraverso il ridisegno “sistemico” e gerarchico del piano

portuale in congruità con quello della rete dei trasporti terrestri e gli

interventi da realizzare;

- cultura del mare: attraverso lo sviluppo di interesse all’interno dei programmi

didattici a partire dalla scuola dell’obbligo e finire con l’Università, il rilancio

delle scuole specialistiche come gli Istituti nautici, lo sviluppo della ricerca e di

produzioni editoriali e programmi televisivi divulgativi;

-immagine del mare: attraverso un uso più attento dei mass-media in funzione

di un progetto di riorientamento dell’opinione pubblica a favore di un uso

attivo e produttivo del mare, nel rispetto del concetto di risorsa limitata e

soggetta a rischio ambientale.

Per sostenere la ripresa concorrenziale della nostra economia, che è timidamente affacciataall’orizzonte e far ripartire lo sviluppo di questo territorio, i servizi di connessione e lo sbocco verso i mercati internazionali costituiscono leve di primaria

rilevanza, soprattutto nello spazio economico più prossimo alla nostra frontiera marittima.

Si è parlato ultimamente della ZES “Zone Economiche Speciali” – istituita con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri N. 12/2018 del 25/01/18 per favorire la crescita economica di zone del Mezzogiorno collegate ad un’areaportuale, anche se trattasi di porti non di rilievo. A tale riguardo c’è un interesse dell’ADSP (Autorità di Sistema Portuale) della Puglia di inserire Termoli e il porto di Termoli nella ZESdell’Adriatico Meridionale, ilche dovrebbe portare notevoli benefici al Molise in termini di ricchezza e lavoro. Per di più è di poco tempo fa (4 settembre) la notizia che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha firmato il decreto che istituisce la ZES che ricomprende Puglia e Molise.

Per Zona Economica Speciale si deve intendere una zona geograficamentedelimitata e chiaramente identificata, costituita da porti, aree retroportuali e agglomerati industriali, situata entro i confini dello Stato, costituita anche da aree non territorialmente adiacenti purche' presentino un nesso economico funzionale, e che comprenda almeno un'area portuale con le caratteristiche stabilite dal regolamento (UE) n. 1315 dell'11 dicembre 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, collegata alla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) .

La ZES non è da considerare il rimedio di tutti i mali della crescita. Essa è il martello di una cassetta attrezzi che deve contenere chiodi solidi (le imprese), l’incudine (un porto efficiente ed efficace con terminalisti di eccellenza e interporti e/o aree retroportuali ben strutturati), la chiave inglese (un sistema burocratico solido),l’olio lubrificante (un sistema logistico di prim’ordine), un giravite (il sistema degli incentivi)e la tenaglia (il supporto delle istituzioni). Questi sono i “tools” che devono girare insieme per poter far valere sul territorio di riferimento la Zona Economica Speciale. Purtroppo la nostra Regione è una cassetta di attrezzi ancora senza tools.

Il Molise, nonostante la posizione di centralità nella penisola, quasi strategica, in quanto intermedia lungo l’asse longitudinale, con una sponda sul mare, perde sulla logistica, ossia il complesso di attività organizzative, gestionali e strategiche che governa i flussi di materiali dall’origine fino alla consegna agli utenti necessari per permettere di mantenere un elevato livello di efficienza e competitività. Senza un’offerta logistica dell’intermodalità, delle interconnessioni e degli effetti di rete e sistema, il Molise rischia di perdereun altro treno per il proprio sviluppo a svantaggio dell’intera misera economia del territorio e, più in particolare, della piattaforma costiera. Per questo bisognapuntare sul porto che è l’unica grande strategica risorsa rimasta.

Dentro questo quadro la realizzazione della superstrada Adriatico – Tirreno sarà certamente “strategica e indispensabile”, ed un segnale per affrontare soprattutto un percorso che tenga conto dei mercati a maggior potenziale di crescita nei prossimi anni e decenni, altrimenti resteremo attori passivi delle trasformazioni del paese, e protagonisti dei cambiamenti che si dovranno determinare per aiutare a far crescere lospopolamento. Per riuscire nel sistema occorre avere una strategia, senza la quale si esce sempre sconfitti. La strategia porta alla vittoria, a cedere e rialzarsi pur sapendo che non si vince mai combattendo ma prevenendo sempre.

“Solo chi riesce a esportare conoscenza e qualità sarà in grado di attirare valore.”Allora spopolamento, isolamento consideriamoli fenomeni quasi naturali perché diventano conoscenza e qualità a beneficio di un territorio che ha bisogno anche di questo se si vuole crescere in un sistema, altrimenti continueremo ad essere la regione dei salvavita e diventeremo veramente la terra che non esiste, all’unanimità, per l’Umanità. Una domanda viene spontanea: “Ma fino ad ora non saranno state per caso le strade a spopolare il Molise!”. La politica allora non si è posto il problema ed ha costruito.

Oggi invece chiede la trasversale Adriatico – Tirrenoper invertire il processo, cioè ripopolare il Molise ed eliminare l’abbandono e l’isolamento del territorio ignorando che, per una legge fisica, l’acqua naturalmente scorre sempre a vallee farla risalire costa sacrifici.

Vox populi: “il Molise come la Svizzera!Sembra quasi come non sapere la differenza tra una tazza di latte e un bidet”. O meglio “Molise come la Mongolia -The Ghost Region – la regione fantasma” , così come “E’ meglio essere nessuno a Pechino che qualcuno nel Molise”. Senza considerare l’alta visione della costache si riduce ancora a misurare le differenze circa la durata dei fuochi di artificio di Termoli con quelli di Vasto e Campomarino,e a pensare che i fuochi di Cannes, famosi per la loro spettacolarità, sono tali perché non hanno mai visto i fuochi di Ferragosto a Termoli che sono i più belli d’Europa......!Allora è proprio vero ciò cheriporta Shakespeare nell’Amleto, dove il Principe di Danimarca, lacerato dai dubbi e indecisioni che gli impediscono un’azione decisa, quando essa sarebbe auspicabile e doverosa, si esprime con “To be or not to be this is the question, morire, dormire… nient’altro…perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo, il torto dell’oppressore, l’ingiuria dell’uomo superbo…il ritardo della legge… l’insolenza delle cariche ufficiali e il disprezzo che il merito paziente riceve dagli indegni”…..e chiude con il celeberrimo “C’è del marcio in Danimarca”.

Comunque non ricordarsi l’Amleto non è grave!Rammentiamoci peròche civiltà e cultura arrivano dal mare, altrimenti dobbiamo solo porci la domanda se “essere vivi o rimanere morti” nella natura,attraverso itinerari suggestivi accompagnati da degustazione di prodotti tipici come olio, vino, salumi, formaggi I.G.P e pampanella, cantando, ballando. transumando e tratturando, aperti ai dettagli con ritmi lenti nel Molise Food & Foot, un ricco patrimonio di cultura, tradizioni gastronomiche e di zone verdi da scoprire, senza sapere dove andare “solo tu, le tue emozioni e la natura”. Meglio, allora, orientarsi, come dice Edoardo Bennato: “sulla seconda stella adestra, questo è il cammino e poi dritto fino al mattino, poi la strada la trovi da te, porta all’isola che non c’è”.

Ad meliora et maiora semper.

Antonio Fusco

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