Diamo un senso al refrain per scoprire davvero se il Molise c'è o no

Dubbio amletico mer 26 febbraio 2020
Attualità di Claudio de Luca
3min
Cartina del Molise ©Wikipedia
Cartina del Molise ©Wikipedia

MOLISE. Di recente un quotidiano ha sottolineato l'importanza della fragilità del regionalismo italiano che, già ai suoi esordi, era stato bollato negativamente da chi nutriva la convinzione che l'istituzione delle Regioni avrebbe concretato un passo indietro rispetto all’andamento risorgimentale volato in direzione dell'unificazione nazionale. Che in Italia esistano ‘veramente’ (nel senso culturale, linguistico, storico …) tutti gli Enti sovraordinati, così com’è scritto nella Costituzione e nelle leggi, è affermazione che può patire riserve a iosa. Un esempio di questa discrasia è la Regione Lazio che ha un Presidente (Nicola Zingaretti) che è pure segretario-presidente (‘quién sabe!) del Partito democratico. Come tale è impegnato quotidianamente
nelle risse (sotto le stelle) con gli ‘alleati’ di Governo piuttosto che attendere ai bisogni dell’Ente amministrato. Con quest’ultimo può vantare un unico rapporto: quello di riscuotere lo stipendio per una carica che – in realtà - lo tiene impegnato veramente poco. Risultato: il Lazio ha un Presidente latitante che non è quasi mai presente.

La circostanza suddetta impone un altro interrogativo, peraltro comune a diverse altre consorelle: esiste veramente come Regione o solo sulla carta? Se ci poniamo un tale interrogativo, dobbiamo anche chiederci se ci sono Enti locali sovraordinati che esistono ed altri che, invece, fingono soltanto.

Il fatto è che i territori hanno una storia, un dialetto, abitanti ben catalogati per indole e per cultura; perciò, come tali, non possono essere mere invenzioni di uffici di statistica del secolo. A ben ragionare, le regioni furono adottate come ripartizioni più che altro per la effettuazione di rilevazioni statistiche già dopo l'Unità. Figurarsi quelle ‘intervenute dopo’ solo per lasciare ‘progredire’ i politici locali, rivelàtesi entità per vero discutibili. In fondo a questo discorso c'è quello della grande varietà della realtà-Italia dove il senso stesso di patria-locale è sempre diverso, talvolta (come nel
Molise) quando si mediti sullo strato della popolazione (Venafro è Campania e Termoli è Puglia e Cristo s’è fermato a Campobasso). Ciò
dovrebbe far riflettere i sostenitori del «taglio» del numero dei parlamentari. Se essi rappresentano veramente l'intera nazione in modo però diverso e diversamente adatto ed adattabile alle varietà e particolarità locali, dovrebbero essere ancora di più di quelli che sono. Che poi le manipolazioni delle liste e delle candidature ci diano spesso dei bambocci incredibili, è ancora un altro discorso.

Una volta la on. Occhionero (transitata da Leu a Iv), riferendosi al ‘regionalismo differenziato’, parlò di riforma maldestra e pericolosa perché “favorisce le regioni settentrionali e mette a rischio l’unità nazionale. Dare più autonomia alle Regioni è indispensabile ma bisogna farlo dando pari opportunità e non aumentando distanze che sono già evidenti”. Gli fece èco il consigliere regionale Scarabeo (“si rischia di penalizzare gravemente tutto il Sud d’Italia e in particolare il Molise.

Le Regioni più povere diventeranno sempre più povere a discapito di quelle più ricche”). Eppure il federalismo fiscale è una necessità imposta dalla riforma costituzionale varata alla fine degli Anni ‘90 dal Centrosinistra con la ‘Bassanini’, che
introdusse nella Costituzione il principio di sussidiarietà, ridisegnando i poteri del Governo centrale e quelli delle amministrazioni periferiche. Fu la più importante ristrutturazione istituzionale dal dopoguerra in poi. Ma il riferimento era ad un federalismo fiscale, inteso come capacità delle Regioni di governare anche le proprie risorse, fatto salvo il principio di solidarietà nazionale. Purtroppo la riforma ha dato a questi Enti sovraordinati i
poteri ma non i soldi, che arrivano da Roma quasi che fossero una sorta di rimborso a pie’ di lista. Si è creata, così, una spirale per cui gli
enti virtuosi hanno contenuto i costi, assunto poco personale, sviluppato le competenze con responsabilità; gli altri (tipo il Molise)
hanno sperperato, tant’è che ogni anno i Governi hanno dovuto commissariare le gestioni sanitarie del Centro-Sud per tappare i buchi
di bilancio.

Claudio de Luca

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