Torna dal Veneto e si mette in quarantena: “Nessun controllo, molta confusione”

La testimonianza mer 26 febbraio 2020
Attualità di Valentina Cocco
3min
In quarantena fiduciaria ©https://www.ohga.it/
In quarantena fiduciaria ©https://www.ohga.it/

TERMOLI. “Nessuno controlla che io non abbia contratto il coronavirus o che abbia bisogno di cibo o acqua” parte così il racconto che una 39enne termolese ha deciso di rilasciare a TermoliOnLine. Lei da diversi anni lavora in Veneto, a Venezia per la precisione, una delle regioni dove si sono registrati circa 70 contagi ed ha fatto rientro nella sua regione d’origine per recuperare un po’ di vestiti primaverili e per visitare i parenti. Ha scelto di vivere in quarantena qui a Termoli, trasformatasi da volontaria ad obbligatoria, “per proteggere amici e familiari, anche se sto bene e non ho nessuno dei sintomi descritti come premonitori del virus”.

Maria (nome di fantasia usato per proteggere la sua identità che, invece, l’Asrem conosce), è rientrata da Venezia venerdì sera, 21 febbraio, ed è venuta a conoscenza delle disposizioni regionali, riguardanti le comunicazioni da effettuare all’Azienda Sanitaria per chi proviene dalle zone rosse, solo sabato mattina: “Ho chiamato subito il 118 che, dopo aver raccolto la mia testimonianza, avermi chiesto come mi sentissi e consigliandomi di restare in quarantena per 14 giorni, mi ha riferito che mi avrebbe fatta ricontattare l’indomani mattina”. Chiamata che è arrivata, puntuale, domenica mattina: “La dottoressa mi conferma la quarantena, riducendola ad una sola settimana. Mi chiedo come sia possibile che due persone che fanno riferimento allo stesso ente possano avere due direttive differenti”.

Trascorso il fine settimana in isolamento, la 39enne decide di contattare telefonicamente il suo medico curante per avere delucidazioni sulle misure precauzionali da mettere in atto: “Lunedì ho chiamato la mia dottoressa che, dopo essersi informata, mi ha confermato la quarantena e riferito che, laddove avessi avuto necessità di uscire di casa, avrei potuto farlo solo dopo aver indossato la mascherina”. Oggetto praticamente introvabile, assieme al gel disinfettante per le mani, in tutta la città.

La donna non ha sintomi che possano far pensare ad un eventuale contagio di Covid19, ma ha deciso di rispettare la prassi in vigore in Molise per chi proviene dalle cosiddette zone rosse, anche se ha qualche dubbio sull’efficacia di tali misure: “Non mi hanno chiesto se, appena rientrata, fossi entrata in contatto con qualcuno, eppure sono scena con il treno e nella carrozza con me c’erano centinaia di persone. Né tantomeno si sono preoccupati di sapere se avessi bisogno di qualcosa quando, sul sito della Regione, è scritto che dei fabbisogni per i casi di isolamenti, come la fornitura di alimenti o farmaci, se ne sarebbe dovuta occupare la Protezione Civile”. Alla sua richiesta di tampone, inoltre, il 118 ed il numero verde hanno risposto che “non era necessario perché sto bene e non presento sintomi che possano indurre a pensare ad un contagio. Sono certa di non avere nulla, ma mi attengo alla legge. È grave che non informino i medici nella maniera corretta. Le cose vanno gestite nella maniera giusta o risultano inefficaci”.

Maria è barricata in casa, letteralmente, da oltre cento ore, in preda alla noia ed alla nostalgia per i suoi familiari: “E se avessi bisogno di qualcosa? Se mi sentissi male, chi verrebbe a soccorrermi? Per fortuna la mia famiglia vive qui a Termoli: se mi servissero cibo, acqua o medicinali me li lascerebbero fuori dalla porta. Ti mettono in quarantena, ma non mandano nessuno a controllare. Io sono onesta e resto in casa, senza vedere nessuno, ma cosa accadrebbe se non tutti agissero come me? Se, malgrado la comunicazione e l’obbligo di quarantena, se ne andassero in giro senza mascherina mettendo a rischio la salute degli altri? Su chi cadrebbero le responsabilità in quel caso, solo sul paziente o anche sull’organo preposto al controllo?”

La paura di contagi è altissima in tutta Italia: a Venezia i supermercati sono stati presi d’assalto, cresce la paura del contatto altrui così come gli sguardi sospetti nei confronti di chi tossisce o starnutisce. “La situazione è critica, si fa la caccia all’untore, sembra di essere ne I Promessi Sposi. A Venezia non ci sono più mascherine o amuchina e nei supermercati non c’è più carne, c’è preoccupazione ma si continua a lavorare e molte palestre restano aperte. Ormai c’è un razzismo al contrario nei confronti dei Settentrionali. In treno ho notato la tensione che c’è ed ho visto una signora coprirsi bocca e naso con la sciarpa e guardare tutti con sospetto”.

La vacanza di Maria, ben presto, si è trasformata in un incubo: “Passati i quindici giorni farò ritorno a Venezia e sarò impossibilitata a scendere nuovamente in Molise per il periodo pasquale. E pensare che alcuni miei colleghi, sabato mattina, non erano in quarantena pur essendo tornati nelle rispettive regioni (Puglia e Sicilia) dal Veneto”.

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