​Coronavirus, gli operai delle chimiche: «Vogliamo maggior tutela»

L'emergenza gio 26 marzo 2020
Attualità di Valentina Cocco
2min
​Coronavirus, gli operai delle chimiche: «Vogliamo maggior tutela» ©Greenme
​Coronavirus, gli operai delle chimiche: «Vogliamo maggior tutela» ©Greenme

TERMOLI. Dall’inizio dell’emergenza Sars-Cov-2 il Governo ha varato numerosi decreti per tentare di limitare, quanto più possibile, la diffusione del virus: dopo aver chiuso negozi, bar, esercizi commerciali ed aziende che non producono beni di prima necessità (come mascherine, farmaci, respiratori ed oggetti destinati a fronteggiare la pandemia) ed aver messo un freno alle uscite dei cittadini, il Premier Giuseppe Conte ha scelto di lasciare aperte le fabbriche.

Una decisione che sta generando molta amarezza nei lavoratori, soprattutto quelli impiegati in aziende che non producono beni di prima necessità e che si sentono «carne da macello». Nemmeno la decisione di una delle due più grandi fabbriche termolesi (la Fca) che ha scelto di chiudere lo scorso 22 marzo, sembrerebbe far cambiare la rotta ad un impianto chimico della zona industriale che, invece, ha scelto di restare aperto: «Ci marciano – raccontano alcuni lavoratori - Lo fanno grazie alla poca chiarezza del decreto ed alla richiesta di mercato che va oltre la capacità di produzione presente nell’impianto. Si sentono tutelati a restare aperti, pur non producendo beni di prima necessità».

L’escalation di preoccupazioni si è intensificata dopo la decisione di alcuni operai di mettersi in quarantena volontaria: «Molti colleghi sono in quarantena, in seguito al rientro dei figli dal Nord Italia o perché le mogli lavorano in ospedale». Chi è impiegato negli uffici dell’impianto «lavora da casa da un paio di settimane», mentre al resto del personale sono state fornite tutte le attrezzature utili ad evitare il contagio: «Ci hanno fornito le mascherine Ffp2 e Ffp3 ed anche i guanti. Hanno sanificato i locali e la ditta che si occupa delle pulizie degli spogliatoi ha raddoppiato i turni».

L’azienda sta valutando anche ulteriori misure di sicurezza, tra cui lo scaglionamento degli orari di ingresso e di uscita dei suoi dipendenti per evitare assembramenti all’interno degli spogliatoi, ma questa misura non riesce comunque a tranquillizzarli: «Siamo abituati a lavorare in situazioni di pericolo e siamo consapevoli che c’è la possibilità che possiamo ammalarci – confessano – Ma questo virus è diverso, si trasmette da persona a persona e questo ci terrorizza. Tornare a casa, la sera, fa paura. Pur rispettando le misure indicate ed il metro di distanza, il pericolo c’è, soprattutto durante la manutenzione di una macchina che richiede l’intervento di più persone. Non possiamo sapere se qualcuno di noi è positivo ed asintomatico. In più proveniamo da paesi diversi e molti prendono i mezzi pubblici per raggiungere la fabbrica».

Le richieste dei lavoratori potrebbero presto essere accolte dalla direzione aziendale che, in una recente riunione e su spinta delle Rsu (rappresentanza sindacale unitaria), sta valutando la fermata generale degli impianti per la prima settimana di aprile: «La conferma arriverà solo dopo la riunione del 26 marzo e la chiusura dovrebbe durare una settimana a partire dal 1 aprile. Trattandosi di una chimica, la squadra di emergenza composta da circa 8 operai dovrà essere presente in loco per tutta la settimana, per questioni di sicurezza. Chi ci assicura che il 7 o l’8 aprile, quando i cancelli riapriranno, la pandemia sarà terminata? Chi ci dice che, nel frattempo, nessuno di noi avrà contratto il coronavirus? Ci sono moltissimi asintomatici che, senza saperlo, contagiano gli altri. Saremo punto e a capo. Purtroppo, come accade spesso, si pensa più al business che alla salute propria e dei propri dipendenti».

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