​Prima o poi passerà: e poi?

L'osservatorio ven 22 maggio 2020

Termoli “La nostra società è paradossale: sempre meno pericolosa ma sempre più a rischio” (Perretti-Wattel, 2001)

Attualità di Luigi Marino
3min
Sesto Fiorentino, esercitazione che simula il rischio idraulico-idrogeologico ©TermoliOnLine
Sesto Fiorentino, esercitazione che simula il rischio idraulico-idrogeologico ©TermoliOnLine

TERMOLI. Il Covid prima o poi passerà. E poi? L’esperienza ci dice che non sarà finita perché ci saranno altri cataclismi. Non sappiamo quando ma di certo sappiamo che un’altra influenza, un terremoto o un’alluvione arriverà. E ci troverà ancora una volta impreparati. Risponderemo ancora una volta “con il cuore in mano” (una discutibile espressione di cui si abusa) ma con tanti danni e dolori mentre, come al solito, qualcuno ci speculerà. Dio non voglia che insieme al Covid si possa scatenare qualche altra sciagura visto che spesso i guai non vengono da soli. E’ bene ricordare che durante la prima guerra mondiale, oltre ai danni diretti per cause belliche ci sono stati due terremoti, una pandemia di malaria, la spagnola (circa 2000 morti al giorno) e una forte eruzione dell’Etna. Facili previsioni di nuove guerre anche durante gli entusiasmi della ricostruzione: “Ci sarà una nuova guerra, davanti alla quale appariranno trascurabili gli orrori della recente…una guerra che distruggerà, chiunque ne sarà il vincitore, la civiltà e il progresso della nostra generazione” (Keynes 1919).

Tra le cose che dal Covid possiamo imparare, a parte quegli aspetti specificatamente medici, c’è il suggerimento, sempre più pressante, a riconsiderare il concetto di vulnerabilità. Forse è ora che si cominci a riflettere su come si possa costruire una “cultura del rischio” (sismiche, idrauliche, sanitarie, antropiche…) che sia capace di riconoscere vulnerabilità congenite e quelle acquisite, magari a distanza di tempo quando saranno più sensibili le amplificazioni sociali. Ma allo stato attuale siamo in grado di valutare i rischi? Ewald (1996) giustamente aveva osservato come “…tutto può essere un rischio; tutto dipende dalla maniera con cui si analizza il pericolo, si considera l’avvenimento”. In realtà ci occupiamo poco dei possibili scenari di emergenza che si potrebbero presentare e ancor meno ci preoccupiamo di prevedere le possibili risposte. L’improvvisazione sembra essere la predominante maniera di rispondere quando i danni sono già avvenuti. Talvolta ci nascondiamo dietro normative, fortemente condizionate dal “calcolo” e da una sovradimensionata fiducia nella tecnologia più recente, che sono destinate a mostrare tutta la loro inefficacia. La storia degli interventi post terremoti e alluvioni degli ultimi decenni sono la conferma della inefficacia di buona parte di queste normative tanto da dover essere costantemente riscritte. In molti casi non è difficile verificare come il rispetto delle normative è percepita più come un modo per ridurre i livelli di responsabilità che come mezzo per scongiurare i rischi. Ci pare condivisibile la considerazione di Petrosky (1994); “…gli ingegneri considerano la norma gli edifici che stanno in piedi e l’eccezione i crolli strutturali, sebbene imparino più dai crolli”.

Se è giusto che gli interventi siano delegati agli specialisti (ma il loro coordinamento?) riteniamo sia altrettanto vero che tutta la Comunità se ne faccia carico. Un terremoto non è prevedibile ma prevedibili sono i danni che farà. Ci sono nazioni per le quali la protezione civile è un problema che coinvolge tutti nell’ottica di passare dalla cultura dell’emergenza a quella della prevenzione. E’ una sfida che riguarda tutti, a cominciare dai bambini. Certo, avviare una didattica che sia attenta ai problemi dei rischi, della prevenzione e del primo intervento non è facile ma bisognerebbe pur cominciare perché sarebbe un investimento per il futuro. I Vigili del Fuoco e volontari che già sono impegnati nella Protezione Civile, nella Croce Rossa o nella Sipbc potrebbero dare un primo contributo efficace in collaborazione con gli insegnanti (preventivamente informati e addestrati). Attenzione però, non si tratta solo di fare le prove di evacuazione che già molte scuole fanno ma di impostare più ampi programmi che favoriscano una maggiore sensibilità verso questi problemi e una sufficiente confidenza con le risposte immediate che in caso di emergenza si possono dare. Immaginare che un bambino (ma anche un adulto) sia in grado di aiutare un compagno incidentato in attesa dei soccorsi (a proposito, chi bisogna contattare?) è cosa di poca importanza? In caso di terremoto dov’è meglio ripararsi e cosa non bisogna fare?

Nella foto: Sesto Fiorentino, esercitazione che simula il rischio idraulico-idrogeologico nell’ambito del progetto Scuola Sicura grazie all'impegno della Protezione Civile del Comune. Gli alunni costruiscono un argine artificiale con sacchi di iuta pieni di terra (“sacchinatura”).

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