Le "avances" in chat praticate sui social

L'osservatorio gio 09 luglio 2020
Attualità di Claudio de Luca
4min
Le "avances" in chat praticate sui social ©wikihow
Le "avances" in chat praticate sui social ©wikihow

TERMOLI. Premetto: non sono omofobo, e mi dichiaro formalmente convinto che ciascuno possa pensarla (e soprattutto vivere la vita) come meglio crede, per lo meno a condizione di non invadere quella degli altri che – legittimamente – possono vantare le medesime aspirazioni, consumando il proprio tempo come vogliono. Oggi mi occupo dell’argomento, pressato da amici che si ritengono perseguitati, da qualche tempo, da ‘soggetti’ di diverso avviso che inviano messaggi (o forse ‘massaggi’) tramite i ‘social’, fanno ‘avance’ e addirittura postano – via ‘chat’ – disegnini che farebbero invidia a Salvador Dalì, uno dei più noti illustratori della ‘Divina Commedia’, soprattutto quando si tocchino certi gironi. Credo proprio che qualcosa sia cambiato già nell’approccio di taluni, vuoi alle proprie velleità che nei confronti delle convinzioni altrui. E’ il caso, quindi, di entrare un po’ più da presso nell’argomento.

Femmine, uomini? Che differenza fa, direbbe qualcuno? Be’, la prima e quella per cui - un tempo – il cosiddetto ‘diverso’ si nascondeva. Oggi ben di meno, seppure si tengano più ‘appartati’ soprattutto nei centri minori mentre si fanno notare nelle cittadine più popolose. Una volta, a definirli, c’era una parola che derivava dal termine meneghino ‘urégia’; e, in certe società meridionali erano oggetto di una sorta di culto popolare, quasi che fossero sacerdoti di arcaici misteri o depositari di chissà quale scienza magara che si manifestava in occasione di speciali travestimenti. La ‘figliata’ (raccontata da Curzio Malaparte ne ‘La pelle’), ed ancora la tombola officiata dai femminielli (che, in questo modo, tirando a sorte i numeri ed annunciandoli con elaborate perifrasi), li mostravano come figure significative nella determinazione del destino in un mondo in cui stiamo tutti sotto al cielo; cosicché da un niente, da una piega insignificante, poteva dipendere la fortuna di ciascuno. Sarà per questo, e non certo per caso, che ancora oggi – almeno in certa aree più riposte - il più potente antidoto alla cattiva sorte viene dai più ritenuta la benedizione impartita da un prete col ‘vizietto’.

Come non è certo un caso il fatto: 1) che, una diecina d’anni prima del 2008, un trans facesse il suo ingresso nella casa del ‘Grande fratello’; 2) nella Napoli popolare vivesse un altro, dichiaratissimo e addirittura liliale nella sua franchezza, affermatosi poi come uno dei più notevoli cantanti neo-melodici. Valentina, era il suo nome, e per molti rappresentava l’antitesi della ‘drag-queen’: cosmèsi minima, abiti dai colori pastello, dava nell’occhio così come tante altre signorine napoletane (quali che fossero), vanitose e dalle belle forme della loro età. Timidissima, teneva sempre grandi occhiali che non avrebbe tolto se non davanti alle telecamere, quando sfoggiava l’inconfondibile sguardo da gatta, dolce ed azzurrissimo. In realtà Valentina era ‘nu mastuggiorge’ dalla figura imponente e dalle spalle larghe; ma, con le sue canzoni in stile ‘techno-dance’, era un’artista per famiglie. I suoi concerti e gli spettacoli sulle tv locali univano grandi e piccini, nonni, genitori e nipoti, in un’atmosfera da sagra domenicale. Tuttavia nelle sue canzoni non si parlava solo di storie d’amore ‘regolari’.

C’era spazio anche per testi che rivendicavano con orgoglio la sua identità omosessuale. A tale proposito Valentina era un libro aperto. Una volta pubblicò un album con la copertina doppia: in una c’era una vecchia foto di quand’era ragazzo; nell’altra un’istantanea nuova di lei fatta donna. Da artista, svolgeva anche una riconosciuta funzione di ascolto sociale: moltissimi, che non sapevano come esternare ai loro genitori di essere trans, le scrivevano o volevano parlare con ‘lei’. Lei rispondeva e li intratteneva anche a telefono. In sostanza, in certe società più appartate del Meridione, anche nelle più moderne incarnazioni, il ‘femminiello’ continua ad avere un ridotto sicuro ed accogliente. Ha un ruolo; e, molto spesso, procura anche di smaltire il testosterone in eccesso di tanti ragazzini impazienti che non mostrano imbarazzo nel misurare il loro esuberante virilismo in compagnia di queste creature variamente ammirate, coccolate.

Forse persino temute, a condizione: che si mantengano il più possibile nell’àlveo della tradizione; che, magari, come Valentina, si dichiarino devote e contrarie al matrimonio tra gay; o che perpetuino la tradizione della candelora (la loro festa) quando vanno in pellegrinaggio a Montevergine per ‘celebrare’ – così si dice - la memoria di due antichi travestiti napoletani che lì, sulle balze del monte Partenio, furono esiliati e condannati a morire ma vennero salvati per intercessione della ‘Mamma Schiavona’ (la Madonna) cui ancora oggi dedicano canti e danze nel corso di una cerimonia che è il più incredibile ‘gay-pride’ di senso religioso di cui s’abbia notizia in Italia. Tutto questo per precisare che, forse, i problemi cominciano a manifestarsi quando, dal femminiello vecchio stile, si passa al ‘gay’ organizzato, all’ ‘l-g-b-t’ odierno, che, già per via di un problema linguistico, risulta – almeno nel Meridione - figura di una modernità vissuta come estranea. I tempi ‘evolvono’, ma si vorrebbe che il femminiello stia al suo posto, si conservi onestamente, dedicandosi alle attività che ha sempre svolto. Si desidererebbe, insomma, un suo pieno assenso nel consentire l’esercizio su di lui di un pieno (benché discreto) controllo sociale. Di contro, il nuovo ‘gay’, l’ ‘l-g-b-t’, aspira ad essere un pari, senza dover pagare dazi sociali, rivendicando – quasi ‘ex-lege’ – diritti e prerogative.

Che sia questa la ‘differènce’ che impedisce a tanti di ammetterne l’invadenza odierna consumata sui ‘social’?

Claudio de Luca

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