Il bollo... in maschera, il mistero della "marca"

L'osservatorio mar 20 ottobre 2020
Attualità di Claudio de Luca
3min
Marca da bollo ©the italian times
Marca da bollo ©the italian times

MOLISE. Per gli impiegati, per i funzionari e per i dirigenti di tanti Comuni molisani, l’interpretazione di una norma, bene spesso, non è univoca quanto piuttosto multidirezionale, dal momento che finisce con il mutare, in via procedurale, da un ente all’altro sulla scorta della valutazione esegetica che ne abbia dato questo o quell’altro dipendente.

Risulta che una vedova di L. abbia domandato ai figli (cointeressati alla vicenda) di sovvenirla per dirimere una controversia apertasi dopo che si era arenata una richiesta di arretrati relativi alla pensione del defunto marito.

I discendenti diretti della donna sono due (entrambi aventi diritto in proposito ‘pro quota’). Una dimora nel comune di T., l’altro in U. Però, mentre la prima riesce a chiudere la pratica, finendo con lo spendere appena pochi centesimi per i diritti di segreteria, il secondo deve assoggettarsi – oltre che alla corresponsione di maggiori diritti - pure alla imposta di bollo pretesa dal dipendente dell’ente locale di riferimento.

Naturalmente, il problema non pertiene solo agli amministrati della ventesima regione, incombendo anche su quelli di tutt’Italia, atteso che la citata onerosa imposta viene applicata in maniera difforme, ma pur sempre sulla scorta dei contenuti del Dpr n. 642 del 1972, purtroppo “letti” in maniera diversa da un luogo all’altro. Cosicché, mentre l’importo relativo viene richiesto pure in Ancona, a Bari, ed a Bologna, esso viene bypassato dall’Inps mentre a Torino patisce deroghe quando l’istanza sia stata inoltrata da figli, pur essi aventi diritto alla pensione di reversibilità. Al contrario, fanno la figura degli “scialacquatori” tuti qugli altri Comuni che si pronunciano per l’esenzione totale ai sensi dell’art. 9 del menzionato decreto presidenziale.

In proposito, una rivista tecnica ha provato a sentire il personale di vari Comuni molisani. Tutti hanno lamentato la scarsa chiarezza della norma che addirittura prevede ben ventisette deroghe. Ma il bello è che lo Stato si serve delle strutture amministrate dagli enti locali per esigere l’imposta, ponendo sulle teste degli addetti la spada di Damocle di una verifica che, ove dovesse rivelarsi positiva, li costringerebbe a versare ‘in proprio’ una sanzione pari all’importo non applicato. Tant’è vero questo che l’impiegato (funzionario o dirigente che sia) rimane obbligato ad indicare sul documento quale sia stata la causale dell’esenzione; e ciò proprio per consentire ai Servizi ispettivi dell’Agenzia delle entrate di verificare la legittimità della mancata applicazione del tributo statale da parte del Comune. Risultato, sono in tanti a non volere rischiare, scaricando sempre (e comunque) sul cittadino il pagamento di un tributo, fosse pure non dovuto. Ma vi è pure chi, pressato dalla parte politica, evita di applicarlo, magari per evitare di ascoltare spiacevoli recriminazioni.

A parte tutto, il problema diventa serio quando si abbia ad incontrare personale che non vuole ragionare. Basti pensare che, bene spesso, l’imposta di bollo veniva applicata persino ai certificati relativi alla consistenza del nucleo familiare, quando dovevano essere allegati – in forza della legge – ad una richiesta volta all’ottenimento di una carta-acquisti. Questo, in effetti, almeno sinché non ha portato chiarezza la risoluzione n. 130/E dell’Agenzia delle entrate, i cui esperti si sono pronunciati per l’esenzione, atteso che trattavasi di domanda inoltrata per il conseguimento di un sussidio.

La norma che regola l’applicazione dell’imposta di bollo elenca la casistica di applicazione in una tabella allegata. Successivamente, è intervenuto un aggiornamento con un d.m. del 20 agosto 1992. Ma vero è che l’impianto della parte relativa all’applicazione delle esenzioni risulta essere pur sempre quello varato dal legislatore decenni addietro, al massimo modificato (ed integrato) da successivi interventi legislativi. Ed è altrettanto vero che i ‘comunali’, nel sostituirsi ai colleghi statali (per esigere un’imposta che, alla fin fine, non offre ai propri enti alcuna ‘royalty’) sono persino costretti a rischiare di essere sanzionati, rimanendo investiti (per evitare tale iattura) dall’obbligo di consultare circolari, risoluzioni e note ministeriali, decreti e quanto di altro. Allora ci si chiede perché il Governo, con un provvedimento di esemplificazione o con una “lenzuolata” liberalizzatrice, li avrebbe potuti sollevare da impegni che – in definitiva – non è giusto che vengano accollati proprio ad essi.

Claudio de Luca

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