E' cresciuto a Termoli, Giuseppe Pio fuori dal coma dopo l'aggressione: «Manda baci e saluta tutti»

Il racconto dom 22 novembre 2020

Termoli Giuseppe Pio D’Astolfo è stato colpito da un pugno nella stazione di Lanciano la notte tra il 17 ed il 18 ottobre scorso e da allora lotta per la sua vita. Quattro giorni fa si è svegliato dal coma e ora è in riabilitazione

Attualità di Valentina Cocco
12min
Giuseppe Pio e la raccolta fondi per le sue cure ©Personale
Giuseppe Pio e la raccolta fondi per le sue cure ©Personale

TERMOLI-LANCIANO. Giuseppe Pio D’Astolfo è un ragazzone, per via della sua altezza imponente (un metro e novanta), di 18 anni. Un gigante buono, come si suol dire, che non ha mai usato la sua fisicità contro gli altri. Cresce a Termoli e qui vive per numerosissimi anni della sua infanzia ed adolescenza fino alle scuole medie, quando si trasferisce a Lanciano «anche se il dispiacere di lasciare Termoli, di cui è sempre stato innamorato, è sempre stato grande», come racconta sua sorella Sara De Santis a Termolionline che l’ha raggiunta al telefono.

Ed è qui in Abruzzo che la sua vita cambia per sempre: in una fredda notte di ottobre, mentre si trova con i suoi amici alla stazione di Lanciano, punto di incontro dei giovani del luogo, viene raggiunto da un pugno e, di lì a poco, entra in coma. Giuseppe Pio non si arrende e si aggrappa alla vita più forte che mai, perché ha ancora tutta la vita davanti, progetti da compiere, amori da vivere e sbagli da commettere. Un mese dopo, in un mercoledì che sembra uguale a tutti gli altri, riapre i suoi occhi e vede il mondo per la prima volta dopo tanto tempo.

Vi ho anticipato qualcosa, ma ora andiamo con ordine perché voglio raccontarvi tutto: chi è Giuseppe Pio, le sue passioni, la sua vita ed anche il momento in cui è “inciampato” sul tortuoso percorso della vita ed ha rischiato di morire. Una ricostruzione possibile grazie alla disponibilità della sua famiglia e di sua sorella Sara che hanno avviato anche una raccolta fondi per le cure di Giuseppe attraverso l’Iban numero: IT64B0311177750000000021069 a nome di D’Astolfo Giuseppe.

CHI È GIUSEPPE PIO:

Amante della musica, persona positiva, Giuseppe è un gigante buono dal viso dolce, oltre ad essere un vero guerriero: «È sempre stato un ragazzo maturo e indipendente. Lavorava già, nonostante la sua giovane età e da poco era andato a vivere da solo. Una persona generosa, di cuore, gioiosa, scherzosa. È sempre di buon umore, dall’animo sensibile. Artista, ama il disegno, una passione che abbiamo in comune e che mi piace pensare di avergli trasmesso. Da piccoli disegnavamo sempre insieme. Ama il basket e la musica rap e spero che possa tornare a fare tutto ciò che gli piace. Merita solo le cose migliori», racconta sua sorella Sara.

IL RACCONTO DELLA TRAGICA NOTTE:

È sabato 17 ottobre e Giuseppe, assieme al suo coinquilino ed alla ragazza di quest’ultimo, decidono di uscire per fare un giro, dopo un’intensa giornata di lavoro. Lasciano il loro appartamento e si dirigono verso l’ex stazione ferroviaria Sangritana, luogo frequentato da tutti i giovani e dove si consuma la tragedia: «Si è portato il monopattino elettrico ed il suo zaino con le sue cose, tra cui una cassa Bluetooth. Amava mettere la musica per farla ascoltare ai suoi amici».

Quella sera non fa eccezione: raggiunta l’ex stazione, Giuseppe Pio decide di mettere su un pezzo, rendendo partecipi i suoi amici, per divertirsi tutti insieme: «Da ciò che mi racconta la sua ex fidanzata, mio fratello ed il suo coinquilino erano da un lato, mentre le ragazze si trovavano un po’ in disparte, sedute su un muretto: c’erano la fidanzata del suo coinquilino, l’ex ragazza di mio fratello ed altre ragazze del loro gruppo».

Secondo il racconto, sarebbe stata proprio quella musica a causare la reazione di alcuni ragazzi lì presenti: «Ad un certo punto un gruppetto di cinque rom si sarebbe avvicinato alle ragazze, chiedendo che musica fosse e dicendo loro di stopparla – continua Sara – Uno di loro, a quel punto, avrebbe offeso il coinquilino di mio fratello, facendo alterare la ragazza e dando avvio ad un battibecco fra i due gruppi».

La situazione si surriscalda e, stando al racconto, Giuseppe Pio ed il coinquilino decidono di avvicinarsi alle ragazze nel tentativo di porre fino all’alterco: «Al fine di placare gli animi, mio fratello ed il coinquilino decidono di intervenire. Non appena si sono avvicinati, uno dei rom ha tirato un pugno al coinquilino di mio fratello che, tuttavia, riesce a spostarsi e ad evitarlo. Al che interviene mio fratello, con intenti pacifici e nella speranza di placare la situazione, dicendo di non volere problemi e che non era successo nulla».

Il tentativo di Giuseppe Pio di evitare liti, però, sfuma in fretta: «L’altro gruppo si rivolge a mio fratello dicendo di farsi i fatti suoi e di abbassare la cresta. Mio fratello, ridendo e senza percepire il pericolo, risponde: “Non ho nemmeno i capelli per abbassare la cresta”. A questo punto gli rispondono: “Ah ti fai anche lo svelto”, con tutte l’intento di attaccare briga. Al che mio fratello si volta, con l’intenzione di raccogliere le sue cose ed andar via, ma in quel momento esatto, mentre dava loro le spalle ed era chinato, il più piccolo del gruppo gli tira un pugno sulla tempia sinistra facendolo accasciare».

Giuseppe Pio è a terra, spaesato e solo: «La cosa che ci ha maggiormente sconvolti è che in quel momento esatto sono fuggiti tutti. Da quello che ci hanno detto sembra ci fossero un centinaio di persone che se la sono data a gambe. Nessuno che abbia avuto la briga di chiamare noi o i soccorsi. Alcuni amici di mio fratello mi hanno anche riferito che i rom più grandi avrebbero incitato il più piccolo del gruppo, anche se ci sono ancora tante cose da capire e da chiarire».

Accanto a lui, nel silenzio più totale dell’ex stazione, resta la sua fidanzata dell’epoca che «si butta subito su di lui per vedere come sta. Era incosciente e lei ha provato a svegliarlo in tutti i modi, senza riuscirci. Ha cercato anche di rialzarlo o di smuoverlo». Incoraggiamenti che sortiscono l’effetto sperato dopo circa cinque minuti quando Giuseppe si riprende e «pensando stesse bene e con l’aiuto di un passante, riesce a rialzarsi. Lei lo manteneva da un lato e dall’altro Giuseppe si aiutava con il monopattino. Così sono riusciti a tornare a casa, poco distante dall’ex stazione».

Giunto a casa Giuseppe ha la forza di spogliarsi da solo per mettersi a letto: «Mi ha raccontato (l’ex ragazza ndr) che mio fratello inizia a stare male, dicendo di avere prima caldo e poi freddo, mentre continua a sudare. Le ha chiesto di prendergli del ghiaccio da mettere sulla testa perché gli faceva male e, quando lei è tornata con il ghiaccio, ha notato due bozzi sulla sua testa, pensando subito alla possibilità che l’aggressore avesse un tirapugni o dei grossi anelli che possano aver causato quei segni. Spaventata, anche dal fatto che Giuseppe perdeva conoscenza ed aveva problemi a parlare, ha chiamato il coinquilino di mio fratello che era scappato. Quest’ultimo è rincasato assieme alla sua ragazza e ad un amico e hanno chiamato il 118».

I sanitari dell’ambulanza soccorrono Giuseppe e decidono di portarlo al pronto soccorso di Lanciano dove il ragazzo arriva in coma: «Resisi conti della gravità delle sue condizioni, decidono di trasferirlo a Pescara dove, in seguito, è stato sottoposto ad un intervento lunghissimo, durato quasi 6 ore, e messo in coma farmacologico e poi nel reparto di rianimazione».

L’INIZIO DELL’INCUBO:

Giuseppe Pio è in ospedale e la sua famiglia non sa nulla di cosa gli è accaduto: «Sono venuta a sapere quanto accaduto la domenica verso sera, ovvero il giorno successivo – racconta Sara, fortemente provata dopo averci raccontato la storia – Mi ha chiamata mia zia e mi ha messa al corrente di tutto. Mia madre ed il compagno, invece, sono stati avvertiti la domenica mattina, verso le 9, grazie ad un’amica di mio fratello che, con sua madre, ha citofonato al padre di Giuseppe per raccontargli la situazione. Di questo sono molto rammaricati: mio fratello sarebbe potuto morire sotto i ferri o avere un’allergia ad un farmaco senza che i medici potessero saperlo».

La notizia è devastante, una di quelle che ti fa crollare la terra sotto i piedi: «Sono stata malissimo, per me è stato uno shock. Ho vomitato, ho iniziato a piangere e ad urlare perché mi sono subito resa conto della gravità della situazione. Senti come se avessero strappato una parte di te, calpestandoti. Un dolore indescrivibile, non sono mai stata così male in tutta la mia vita. Da lì è iniziato l’incubo, che va avanti ancora oggi anche se ora va meglio».

Dalla sua stanza nel reparto rianimazione Giuseppe non sa cosa accade fuori: è in coma ed i suoi familiari corrono in ospedale per sincerarsi delle sue condizioni. «Il giorno dopo mia sorella Noemi, la più piccola, è venuta qui da Termoli dove vive e, assieme a mamma, siamo andate in ospedale per vederlo, ma non ci hanno permesso di entrare causa Covid. Hanno permesso di entrare nella sua stanza solo a mia madre ed al suo compagno, padre di Giuseppe. Tutt’oggi, dopo un mese, non sono ancora riuscita a vederlo. Questa cosa mi ammazza dentro. Mia madre è stata fortissima, dimostrando di essere una grande donna. Ora siamo più uniti che mai».

IL POST-OPERATORIO E LE CONDIZIONI DISPERATE DI GIUSEPPE:

Dopo la lunga e delicata operazione Giuseppe è ancora in pericolo di vita e lo sarà per altri cinque giorni: «L’intervento è andato bene, malgrado il vasto ematoma epidurale con frattura del cranio. Ad aggravare le sue condizioni è stato il tempo: tra i soccorsi, le visite al pronto soccorso fino al trasferimento a Pescara sono trascorse troppe ore. Ha subìto anche un’ischemia a causa di un rigonfiamento dell’ematoma che ha fatto spostare il cervello da un lato, schiacciandolo. Un’arteria si è chiusa (salvo poi riaprirsi grazie all’operazione) e una parte del cervello, circa 4 centimetri, non ha ricevuto ossigeno, andando in necrosi. Ha un danno assonale (gli assoni sono i conduttori dei neuroni ndr) diffuso un po’ dappertutto. La diagnosi è terribile. I medici non erano molto positivi, ci dicevano che rischiava di non svegliarsi più, che sarebbe potuto rimanere in coma vegetativo o che potrebbe non riconoscere nessuno, di non avere coscienza di sé e che potrebbe avere problemi alla vista. Non ci siamo mai arresi, anche se ci aspettavamo il peggio».

IL MIRACOLO:

Quando tutte le speranze si stavano infrangendo, Giuseppe ha mostrato la sua natura combattiva: «Hanno iniziato a ridurre la sedazione e lui ha iniziato a svegliarsi mostrando segni di coscienza. Due settimane fa avrebbero dovuto trasferirlo in un centro riabilitativo neurologico nelle Marche, ma ha avuto due brutte infezioni batteriche con conseguente febbre alta per diversi giorni. Dopo due settimane di cure sta meglio ed è stato trasferito in questo centro marchigiano dove ci auguriamo possa recuperare il massimo delle sue facoltà. Ad oggi non si può quantificare l’entità del danno, a parte l’ischemia e il danno assonale diffuso. I medici ci dicono che le possibilità di ripresa sono alte, grazie alla giovane età di Giuseppe, ma non sappiamo cosa aspettarci».

Appena sveglio Giuseppe ha riconosciuto la voce di sua madre e «ha iniziato a piangere. Ora manda baci e saluta. Parla con il labiale, vedremo cosa riuscirà a recuperare. Da pochi giorni sta mangiando cibo solido frullato. Ci ha stupiti: persone con il suo trauma difficilmente si risvegliano dal coma, invece lui da grande guerriero qual è, è tornato».

Di quella sera restano i terribili ricordi: «Giuseppe sembra ricordare, ce lo fa capire. Fa il gesto del pugno, come per far capire che lo hanno colpito e ci fa sperare positivamente. È sveglio, attivo e capisce tutto. Ha memoria e riconosce tutti, anche i colleghi di lavoro. Attendiamo con ansia di sentire anche il suo racconto. Ci sono buone probabilità che, dopo la riabilitazione, torni da noi in buona salute».

LE INDAGINI:

La testimonianza qui fornita è convalidata dal racconto dell’ex ragazza di Giuseppe Pio, che ha assistito alla scena ed è stata sentita dagli inquirenti che stanno seguendo le indagini. Inoltre il luogo dove si è consumata la tragedia ha un sistema di videosorveglianza e le immagini sono in mano agli inquirenti: «Sono stati individuati tutti, ma sono ancora tutti liberi in attesa del provvedimento del Tribunale dei Minori, visto che tre di loro sono minori e solo due maggiorenni. Anche se solo uno di loro ha tirato il pugno sono comunque in concorso di pena. L’accusa è grave visto che non lo hanno neanche soccorso. Speriamo che Giuseppe ottenga giustizia, la merita. Il problema è che il ragazzo che ha scagliato il pugno ha 13 anni e mezzo e, per la legge, non è imputabile. Ci siamo armati di avvocati e voglia di lottare e faremo di tutto per fargli ottenere la giustizia che merita. Non esiste una quantificazione in denaro che possa sopperire a quanto gli è accaduto, è una cosa che ha cambiato le nostre vite. Speriamo che ci ha commesso il gesto paghi, se non può farlo lui speriamo lo facciano i genitori».

Le indagini proseguono a rilento, in attesa dei riscontri sui cellulari dei ragazzi: «Hanno messo sotto sequestro i cellulari di tutti i ragazzi e degli amici di mio fratello presenti quella sera. Gli inquirenti si sono presi circa 60 giorni di tempo per analizzarli, cercando di recuperare anche ciò che potrebbe essere stato cancellato».

Malgrado la rabbia per la violenza perpetrata nei confronti di Giuseppe, Sara mantiene la calma e spera nella giustizia: «A chi ha aggredito mio fratello vorrei dire tante cose, ma mi limito a sperare che abbiano capito la gravità del gesto che hanno commesso. Non si può avere il diritto di rovinare la vita di una persona e della sua famiglia. Mi auguro che possano pagare per ciò che hanno fatto, chi sbaglia deve pagare. Ci affidiamo alla giustizia. Spero che imparino dai loro errori e, soprattutto, comprendano che la violenza non è mai buona, non è la soluzione ai problemi. Mi rivolgo anche ai genitori del ragazzo: educate i vostri figli al rispetto degli altri, insegnate loro che la violenza non va mai utilizzata. Non si può ridurre un ragazzo in fin di vita, compromettendogli l’esistenza».

LA RACCOLTA FONDI:

Le cure per la riabilitazione di Giuseppe sono costose e la famiglia non riesce a pagarle: «Abbiamo indetto una raccolta fondi per vari motivi. In primis per la delicata situazione economica che vivono mia madre e il suo compagno, il papà di Giuseppe, che ha dei gravi problemi di cuore ed è diabetico. Non può lavorare e percepisce una pensione di invalidità di 280 euro al mese. Mia madre fa la badante h24 e percepisce 600 euro, devono pagare l’affitto. Mio fratello tornerà ad abitare con i genitori dopo le cure e dovrà fare ancora riabilitazione e vorremmo dargli le migliori cure possibili. Senza considerare le trasferte per andare a trovarlo. Vogliamo il meglio del meglio per lui. Dovremo pagare anche le spese legali, per questo abbiamo creato una mail forzagiuseppepio@outlook.it su cui tutti possono scrivere. Il denaro viene utilizzato esclusivamente per Giuseppe Pio e presto vorremmo avviare un’altra raccolta anche su gofoundme. Siamo felici che, malgrado il Covid abbia messo in ginocchio tantissime famiglie, sono molte le persone che ci hanno donato qualcosa. Persone di gran cuore. Grazie a tutti per i messaggi e per le donazioni».

IBAN su cui fare i versamenti: IT64B0311177750000000021069 a nome di D’Astolfo Giuseppe

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