La storia dell'ospedale Vietri: dal progetto di Pastor a oggi

L'osservatorio mer 25 novembre 2020
Attualità di Claudio de Luca
3min
Il Vietri visto dall'alto ©Studio Pastor
Il Vietri visto dall'alto ©Studio Pastor

LARINO. Il cosiddetto ospedale larinese di campagna: l’inutile fatica dell’architetto Pastor e dei suoi collaboratori.

Quello di Larino era classificato tra i piccoli ‘ospedali di zona’. Ma era stato progettato, e realizzato (nell’arco di un trentennio), da Valeriano Pastor che aveva preso a modello Le Corbusier e l’ospedale di Venezia. Collaborarono con lui i professionisti larinesi Vitiello (+), Berchicci (+), Ferrauto (+) e Ferri (+). Ne venne fuori un impianto che si inserì appieno nel contesto locale, e fu – per unànime consenso - uno dei lavori più esemplificativi della carriera del noto architetto. Poiché la struttura ospedaliera può modificare nel tempo, la distribuzione degli spazi interni del ‘Vietri’ fu predisposta per i tempi lunghi. In materia sanitaria v’è sempre necessità di trasformare, così come nella diagnostica. La tendenza, dunque, non poteva che essere quella dell’aggiornamento delle attrezzature.

C’era bisogno, dunque, di programmare sempre sulla scorta di nuove organizzazioni degli spazi. L’architettura ospedaliera non può limitarsi ad essere mero esercizio artistico perché la forma deve sempre essere pronta ad ospitare funzioni nuove. Ne consegue che il disegno dei volumi non può essere stabilito ‘a priori’ e neppure avere una qualche preminenza nella configurazione progettuale. Il “Vietri” nacque per ospitare 240 posti-letto, incrementabili a 300, con 4 reparti ed un nucleo essenziale di servizi diagnostici e terapeutici. Gli esperti dicono che l’impianto è a “piastra”, cosicché le stanze di degenza sono disposte a corona nel nucleo dei reparti di servizio diagnostico e di terapia intensiva, mentre tutte le attrezzature di servizio sono dislocate al di sotto della piattaforma.

La risoluzione permetteva di realizzare le unità operative di funzionamento con dimensioni compatte, riducendo le distanze di servizio, e presentando il tetto come frontiera per la captazione di aria e di luce (e non solo come “riparo”). La flessibilità dell’organizzazione spaziale fu perseguita tràmite l’adozione di una maglia strutturale ampia perché, distanziando i pilastri, si ottengono locali vasti che è facile articolare, con partizioni movibili, in più vani, scegliendo un passo dei telai in cemento armato rapportato – per dimensione - alle misure di ambienti che possono servire, di volta in volta, da ambulatori, camere di degenza, studi medici e così via.

L’intelaiatura può essere sostituita, quale struttura portante, da pannelli prefabbricati, sempre in calcestruzzo armato, che, però, sembrano determinare una minore flessibilità dell’organismo edilizio, sacrificato a vantaggio della standardizzazione dei componenti di produzione industriale che permette velocità di esecuzione, un facile montaggio e la riduzione dei costi. Ambedue i metodi costruttivi consentono di adeguare nel tempo le superfici ospedaliere in luogo di perdere spazi nello spostamento di pareti, nella eliminazione dei divisori, con la chiusura o apertura di porte. Insomma, ergonomia degli spazi nell’interesse dell’intercambiabilità degli usi. La flessibilità fu un requisito indispensabile anche della progettazione delle reti impiantistiche, tanto più importante in quanto le attività sanitarie sempre più si servono di apparecchiature biomedicali, alimentate dall’elettricità e governate da p.c.

Ci sono strutture ospedaliere in grado di espandersi senza perdere in organicità (che non è la medesima cosa per fabbricati realizzati per lotti, come il ‘Cardarelli’) e ci sono istituti di cura in cui la possibilità di ampliare rimane costituita dall’utilizzo di quelle parti lasciate libere perché il progetto iniziale è stato sovradimensionato (come nel ‘Vietri’) per consentire alle strutture di adeguarsi ai progressi tecnologici e di svolgere nuove procedure mediche. Quello di Larino è un ospedale sopraelevato per via del piano terra a ‘pilotis’; nella sostanza è un nosocomio flessibile che non pone vincoli ad ipotesi di ristrutturazione, negative o positive che fossero. Non v’è altro da aggiungere per chi parla della struttura larinese come di un ‘casone’ di campagna.

Claudio de Luca

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