Dal Molise alla Baviera, il ruolo della donna nelle foto "Predator Ubiquity" di Caterina Notte

Alta risoluzione mer 25 novembre 2020
Attualità di La Redazione
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Dal Molise alla Baviera, il ruolo della donna nelle immagini "Predator Ubiquity" di Caterina Notte ©TermoliOnLine
Dal Molise alla Baviera, il ruolo della donna nelle immagini "Predator Ubiquity" di Caterina Notte ©TermoliOnLine

TERMOLI. Se tutto andrà per il verso giusto, potremo ammirarla nei prossimi mesi a Termoli, in quella che potrà essere una delle iniziative più interessante tra le rassegne culturali locali.

Parliamo delle fotografie di Caterina Notte, professionista molisana dell’immagine, che da 20 anni macina esperienze e progetti fotografici che le hanno permesso di avere un curriculum degno di nota.

Artista di rango internazionale, partita dal Molise, da Macchiagodena, per fare la spola tra Monaco di Baviera e la Costa Smeralda, due location niente male, nella sua opera di luxury photograpy.

Tuttavia, prescindendo oggi da questo aspetto, focalizziamo un progetto che vede al centro la donna e non casualmente, visto che ricorre la giornata del 25 novembre.

Un progetto virtuale che si chiama “Predator Ubiquity”, al centro anche di una recentissima intervista, pubblicata due giorni fa, sulla rivista online “Thewaymagazine.it”, in cui racconta anche il lockdown vissuto in Germania.

Per Caterina Notte, “L’arte deve immergersi nella realtà” e l’immagine deve esplorare il corpo e dare una nuova luce alla bellezza.

Scrive di lei il portale specializzato: «Caterina Notte è un’artista multimediale che si avvicina al mondo della fotografia dopo essersi approcciata all’architettura. Un salto esplorativo che le ha permesso di portare in superficie una realtà congelata che spera un giorno si possa liberare. Caterina Notte è oggi un’affermata fotografa, anche se il termine può sembrare riduttivo, che si divide tra ricerca e sperimentazione, tra performances e vita reale. Il suo ultimo progetto “Predator Ubiquity” diverrà più sociale e performativo oltre che virtuale in rete. Si tratta di alcuni video di un minuto che riveleranno il desiderio di libertà racchiuso in una stanza chissà dove. Una lucidità di pensiero che supera il concetto di performance stesso e che per la sua originalità non potevamo lasciarci sfuggire».

E proprio a “TheWayMagazine.it” ha spiegato come nasce l’idea che ha portato a realizzare l’ultima creazione.

«I miei primi lavori partivano da me, si trattava di scansioni del mio corpo riassemblate (Genetics) o di video performance (Dissipatio h.g.) con i quali cercavo delle vie di fuga disperatamente da questa realtà per trovare però un collegamento possibile. Perciò ho lavorato sul doppio, a lungo, e alla fine ho capito che il mio doppio non mi bastava più ma che avevo bisogno di altri esemplari che si duplicassero per me. Così ho spostato il mio interesse verso la figura femminile esterna a me e più simile a me nelle sue varie fasi, da bambina ad adolescente a donna. Ho iniziato allora con la fotografia, volevo essere la regista e non più la protagonista e gestire ogni particolare. Ho conosciuto i bambini, questi piccoli geniali “esserini” che un giorno ho deciso di fasciare con delle bende per trattenere la loro energia per lasciarne fuori solo gli occhi, ne ho messi un po’ insieme con un vecchio furgone ed è nato Predator, era il 2010. Nel novembre del 2019 mi trovavo a Monaco, come sempre, stavo lavorando alla serie Aliens con una ragazza appena conosciuta su Instagram e il suo corpo, molto asciutto con le ossa in evidenza e gli occhi grandi e di ghiaccio mi hanno convinta che era il soggetto giusto da fasciare con le bende e far esplodere nella sua algidità ed è così che ho proseguito il percorso di Predator. Al momento giusto».

Il suo mantra è: "L'arte è una parte essenziale della vita stessa ed è più di un semplice momento ricostruito. Mi piace vedere le cose sempre sotto una luce diversa, catturare l'istante che precede la scelta".

Prima tappa dopo il Molise è stata a Roma, dove frequenta le facoltà di Architettura e di Economia all'Università La Sapienza ma è proprio durante questi anni che scopre la sua passione per la fotografia e il suo lavoro è stato da subito presentato in mostre in Italia e all'estero in città come Roma, Monaco, Milano, Shangai, Praga e Santiago del Cile per citarne alcune. Oggi lei si descrive come un'investigatrice del mondo femminile che usa la fotografia per trasformare i suoi soggetti in icone. La sua scelta espressiva è stata fin dall'inizio quella di usare prima il video poi la fotografia per porre l'attenzione sull'innegabile bellezza e potere estetico della donna; il suo messaggio che ogni donna è un essere sessuale, anche nella sua debolezza più nascosta (serie Predator), trasmette la complessità della specie femminile facendolo rientrare in un discorso socio-economico oltre che quotidiano. L'artista pone al centro della propria riflessione il tema della carne: da quella tecnoumana nella serie Genetics (scansioni del proprio corpo ricomposte digitalmente, lambda print 2001-2002) alla carne ferocemente aliena e oggettiva nella serie “Aliens Form N.0” (fotografie, 2019).

Entriamo nel cuore del progetto Predator Ubiquity: «Il tema centrale della mia ricerca è il ruolo della donna, del suo corpo, della sua forza e della sua debolezza. Il focus è l'impossibilità di essere debole, perché la potenza è nella debolezza e nell'abbandono. Ma è anche un lavoro sulla bellezza e sulla libertà, sulla carne e su un altro corpo vicino a me. La bellezza è un tema troppo poco affrontato oggi nel campo dell'arte, trascurata o comunque affrontato sotto altri aspetti.

Le bende (Predator) che nascondono la carne lasciano spazio agli occhi e alle mani che sono rapaci e decisi, estranei da quel corpo che dovrebbe apparire indebolito. La preda diventa Predatore. Rimane solo la reminiscenza del dolore il resto è forza e bellezza.

L'individuo va rafforzato altrimenti quando la comunità verrà disgregata, apparirà minacciato. La realtà è movimento e incertezza, ma è in questo stato di incertezza che l'individuo può scegliere di divenire forte; ciò che posso fare è fermare l'istante della scelta. Allora la dimensione privata, la solitudine diventa luogo di non-debolezza, la base per costruire una società che non ci deframmenti ulteriormente nella sua digitale dimensione partecipativa».

L’aspettiamo a Termoli.

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