Covid, guerra, imprese in difficoltà e crisi alimentare, Musacchio: le mafie cambiano strategie

L'intervista ven 01 luglio 2022

Nel foggiano nei giorni scorsi un incendio ha distrutto oltre cento ettari di grano lungo la strada statale 16 tra Foggia e San Severo. L'analisi del criminologo Vincenzo Musacchio: «Quando il mercato e l'economia cambiano, i clan si organizzano per cogliere qualsiasi nuova opportunità di guadagno».

Cronaca di Emanuele Bracone
4min
Vincenzo Musacchio ©Termolionline
Vincenzo Musacchio ©Termolionline

TERMOLI. Le tensioni internazionali causate dal post pandemia in materia di approvvigionamento delle derrate alimentari, acuite dal conflitto bellico nell'Est dell'Europa, ripropongono temi collaterali, come le strategie della criminalità organizzata sempre pronta a cogliere ogni opportunità.

Ne parliamo col criminologo Vincenzo Musacchio.

Professore come sta sfruttando la mafia, la crisi economica in atto?

«L’emergenza sanitaria da Covid19 prima e la guerra russo-ucraina ora hanno di fatto creato una crisi economica e sociale mai vista in precedenza. Questa situazione ha offerto alla criminalità organizzata un’ulteriore occasione per utilizzare i suoi capitali attraverso l’usura investendoli poi in settori produttivi in difficoltà come ad esempio quello agroalimentare. La guerra in Ucraina ha fatto venir meno materie prime come grano e altri prodotti agricoli primari. La crisi crescente ha fatto il resto, mettendo le mafie in condizioni di condizionare l’economia legale e monopolizzare interi comparti produttivi investendo su terreni, immobili, imprese e interi pezzi di filiera agroalimentare».

A Foggia un maxi-incendio ha distrutto centinaia di ettari di terreni coltivati a grano, che significa? Può essere un segnale mafioso?

«In generale significa che l’agricoltura e l’agroalimentare sono settori entrati pesantemente nel mirino del crimine organizzato ovviamente non solo pugliese. Sull’incendio accaduto nel foggiano, sono in corso indagini poiché i campi di grano distrutti sarebbero di proprietà di un imprenditore agricolo che da qualche anno è sotto scorta dopo aver denunciato le richieste estorsive da parte della batteria foggiana Moretti-Pellegrino-Lanza».

Per le mafie l’agroalimentare, dunque, rappresenta un settore dove fare affari?

«Affari non di poco valore considerato che i guadagni si aggirano intorno ai trenta miliardi di euro l’anno. A Foggia, in particolare nel cd. tavoliere, c’è la più grande filiera del pomodoro e del grano del Sud. Dai campi alla vendita al dettaglio l’agroalimentare è diventato un settore di preminente investimento delle nuove mafie. I nuovi mafiosi hanno compreso con largo anticipo la strategicità del settore alimentare in tempo di crisi economica. Le derrate alimentari consentono ai clan di ottenere persino consensi in modo capillare nella società civile e condizionare la vita quotidiana soprattutto delle persone in difficoltà economiche. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato ma distruggono anche l’imprenditoria legale compromettendo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani all’estero».

La tragedia del ghetto di Rignano Garganico ripropone il tema dello sfruttamento dei migranti, l’agricoltura dunque si conferma settore infiltrato dalle mafie. Secondo lei la riforma sul contrasto del caporalato sta funzionando?

«Se analizzassimo il quarto Rapporto del Laboratorio sullo sfruttamento lavorativo, realizzato da “L’Altro Diritto” insieme alla Flai Cgil, i dati dicono che il caporalato non riguardi solo l'agricoltura, ma anche molti altri comparti produttivi, emerge, inoltre, un aumento delle vittime tra cui stranieri ma anche italiani e molti minorenni. Poche per di più sono le denunce dei lavoratori e questo ci dice che lo stato di bisogno è ad altissimi livelli, di conseguenza mancano a monte idonee politiche sociali indispensabili per combattere il lavoro nero assieme ad una più adeguata repressione. Una delle lacune a me evidente è la poca sinergia tra forze dell’ordine, ispettorato del lavoro e aziende sanitarie locali. Se dovessi sintetizzare la risposta alla sua domanda in poche battute direi che sei anni dall’approvazione della legge n. 199/2016, la repressione non funziona come dovrebbe perché a monte non c’è una adeguata prevenzione indispensabile in un settore come il lavoro nero».

Con il Covid prima e ora con la guerra in Ucraina, le mafie, secondo lei, si sono già appropriate di molte imprese in crisi?

«Di quasi tutte e non usando più in modo preminente le estorsioni e la violenza ma prestando denaro e mantenendo nelle aziende e nelle imprese finanziate i vecchi proprietari che sfruttano poi come teste di legno lucrando persino sull’indotto come le ditte di trasporti, di facchinaggio o sulla vendita di determinati prodotti agli esercizi commerciali e ai supermercati. Approfittando della mancanza di liquidità, arrivano a occupare interi comparti proprio grazie alle grandi disponibilità di capitali. Ritengo che con l’arrivo dei soldi del Pnrr il fenomeno minacci di aggravarsi ulteriormente anche per gli effetti del caro prezzi provocato dalla guerra che porterà molte imprese ormai mafiose anche se formalmente legali ad accaparrarsi i finanziamenti europei. Se questo accadrà, il Pnrr rischia di fallire il suo obiettivo primario: la distribuzione delle risorse a chi ne ha veramente bisogno».

Le mafie quindi già sono in campo per il Pnrr?

«Aspettano soltanto che arrivino i fondi per poi potersene appropriare. Hanno già pronta la cabina di regia e la loro squadra vincente fatta di imprenditori, politici, funzionari pubblici, professionisti, tutti pronti per preparare le condizioni necessarie per intercettare i fondi europei che arriveranno».

Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (Riacs) di Newark (Usa). Ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.

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