​“La polvere dentro”, l’esordio del larinese Pasquale Nini Terreri nel mondo della letteratura

La primizia gio 31 dicembre 2020
Cultura e Società di Claudio de Luca
3min
​“La polvere dentro”, l’esordio del larinese Pasquale Nini Terreri ©Termolionline
​“La polvere dentro”, l’esordio del larinese Pasquale Nini Terreri ©Termolionline

LARINO. Recensione del libro appena posto in commercio, firmato dall'amico Pasquale Nini Terreri, generale in pensione della "Folgore".

“Si scrive perché non tutto venga cancellato con la morte. Scrivere è una lotta contro l'oblio, un illudersi che qualcosa di noi, e del mondo che ci circonda, possa rimanere. Perché non è possibile arrendersi all'idea che i nostri sogni, le nostre angosce, i nostri sentimenti, le nostre emozioni, le nostre passioni, debbano scomparire nel nulla” (l’Autore).

E’ un Ninì Terreri ‘domestico’ quello che rievoca alcune vicende di vita vissuta tra la vita militare (è stato un altissimo Ufficiale della ‘Folgore’) e la piccola umanità di paese (Larino). Il tono dominante della sua scrittura serba momenti di distacco doloroso ed impotente, ma anche momenti di sconforto e di tenerezza, di commossa gratitudine e di ‘serramento al cuore’ impensabili. Vivere il quotidiano di ieri (per chi ha la fortuna – e la capacità – di ricordarsene) è una buona esperienza perché il ricordo è una necessità dell’anima che ‘vuole’ certificarsi nella pagina. Dal proprio Paese si attinge sempre ciò che si è visto e sentito, soprattutto se si sia stati testimoni di momenti ricchi, di rapporti veri e genuini e di conoscenze, profonde od effimere che siano. La vita autentica d’altri tempi era fatta di sguardi, di emozioni che non avrebbero necessità di essere esibite perché esistono da sempre. Ma, un tempo, il vivere era fatto di condivisione, di passioni con un sapore deciso,più autentico. E così la nostalgia rimane venata da un sottile piacere: quello di scrivere, di far rivivere i fatti, soprattutto a distanza d’anni. I luoghi, le persone che affollano la mente prendono un nuovo aspetto, ancora più gradevole di quello vero al punto che, quando si arriva in fondo al lavoro di scrittura, ci si accorge di avere vergato un nùgolo di pagine in cui sono state raccontate piccole e grandi storie, compiutamente descritte.

E così il Paese diventa lo sfondo di tante altre vicende di vita perché tutto è accaduto tra quelle case perché tutto è accaduto in ciascuno di noi. Guai a chi non ha dietro di sé un territorio preciso, una geografia e, addirittura, una topografia ben definita, vissuta. E’ chiaro che una Comunità, od un territorio, finiscono col diventare emblematici, che è come dire, almeno nell’aspirazione di chi ne elabora i tempi, universali. Questo Paese (immaginario, ma reale) è sempre là, seppure non sia rimasto qual era. Di tempo in tempo ci si ritorna per misurarci con i ‘fantasmi’ di allora, perché è ad essi che si è rimasti sempre fedeli. Poi sentiamo la voglia di scriverneper renderci conto che si tratta del Paese di tante altre persone che conoscevamo, magari solo di vista, o che c’erano note per un particolare ‘tic’ fisico. Ma quel luogo è soltanto “nostro” almeno nell’immagine che ce ne siamo fatta e che tentiamo di conservare ‘in aeterno’ dentro di noi.

A Larino il futuro generale ha vissuto la sua giovinezza, con amici e conoscenti; e qualcuno non c’è più. Quando vi ritorna, periodicamente, gli pare di risentirne le voci che gli giungono alle orecchie come il frullo di un passero. Chiamano da ogni parte e l’Autore ne trae l’impressione di potersi riunire a loro, dando consistenza a quel silenzioso coro. Ninì Terreri è cosciente che - dopo di lui -quelle voci taceranno perché non ci sarà più chi potrà udirle. Avverrà quando non esisteremo più, e loro con noi. Esaurito il coraggio che avemmo di vivere, di amare, di generare, saremo diventati essenze senza storia e tutto sarà come se non fosse mai stato. Le nuove generazioni ignoreranno ogni cosa di noi, oramai spariti dalla memoria, come avviene ad un ronzìo d'ape che rimane reale solo per il tempo occorrente all’attingimento del polline da un fiore. Chi mai saprà dire - a ragion veduta - se abbiamo deluso, se siamo stati peccatori o se ci siamo comportati ingiustamente con qualcuno? Ma una cosa è certa: con questo aureo libello, almeno l’Autore avrà saputo custodire la memoria altrui, e la sua, per tanti anni ancora, ricordando degli amici parole, gesti, incontri, visi e finanche le andature con cui prendevano a svoltare ad un angolo della via oppure salivano le scalette per recarsi - a piedi - "cap'a mmonte" (come il colto e l’ìnclita usavano dire una volta). (Il volume è distribuito da ‘Amazon’)

Claudio de Luca

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