Il "malocchio" in Molise: pratica che resiste

L'osservatorio mer 27 luglio 2022
Cultura e Società di Claudio de Luca
3min
Il malocchio ©Comune di Otranto
Il malocchio ©Comune di Otranto

Il 'malocchio' in Molise: un'indagine conferma che certe pratiche sono ancora vive.

Sembra strano ma, per certi versi, la credenza che il 'malocchio' sia una realtà (e non una stantìa opinione d'altri tempi) forse è più forte tra i giovani che tra i supèrstiti anziani. Insomma non si tratterebbe di roba da creduloni; e le appartenenti al cosiddetto sesso dèbole me rimarrebbero più convinte rispetto agli uomini. Un dato interessante rivela che, a crederci, sono più le signore e le signorine di città che le consorelle meno "urbanizzate". Il tutto per dire che 'lu maluòcchie' è cosa viva ed attuale e non certamente un rigùrgito folcloristico che cova sotto le ceneri, magari vivo solo in Molise.

Quando la razionalità comincia a far cilecca, sono in tanti (del colto o dell'ìnclita) a ripiegare sul pensiero magico; e l'arma di riserva basilare (di cui si favoleggia) sono le stregonerie e, quindi, il 'malocchio'. Un'indagine condotta su 120mila intervistati conferma che la pratica è viva. Alla domanda: «Credi che certe persone siano in grado di lanciare maledizioni o incantesimi?», il 43% degli interpellati ha risposto affermativamente nella proporzione di un buon 10%. Naturalmente fenomenologìe analoghe erano riscontrabili soprattutto negli ultimi decenni del secolo scorso; e, nel Molise, erano già più forti. A tale proposito il mio ricordo di infante va ad un'anziana, perennemente vestita di nero, che incuteva paura ai suoi piccoli ascoltatori, raccontando favole, filastrocche, storie di briganti, di fate, di orchi, di streghe e di lupi mannari. Ogni tanto metteva in primo piano il famoso “mazzamarìlle”, forse per farci stare buoni. È stato così che la vita di tanti è cresciuta nella concezione magico-superstiziosa del mondo di favole e di leggende di una donna che vantava fama di 'strega', le cui 'storie' venivano ripetute da nonni e genitori che - pur di mantenerci tranquilli - utilizzavano nei nostri confronti le medesime forme di suggestione.

Era in tale ottica che ogni malattia sopravvenuta veniva addebitata ad un presunto "malocchio", descritto come un qualcosa di cui si sarebbe potuto anche morire. Per combatterlo occorreva "incantarlo"; ed era allora che gli adulti prendevano (con tutta la serietà richiesta dalla circostanza) un piatto contenente della semplice acqua su cui tracciavano una croce ogni qualvolta se ne fosse toccata la parte superiore, recitando la formula di rito. Poi vi lasciavano cadere tre gocce d'olio. Se questo si fosse sciolto, si trattava di "invidia", altrimenti c'era qualcosa d'altro che premeva. A quel punto gli adulti recitavano dei salmi, utilizzando un tono di voce tra il tenebroso ed il minaccioso. Se il "malocchio" non veniva meno con la pratica del "contramalocchio", la diagnosi che ne fosse derivata sarebbe stata quella di un "malocchio ferrato", qualificazione che ne indicava uno approntato da una persona che avesse avuto, con sé, un oggetto di ferro. A contorno c'erano altri riti, ancora più tenebrosi, durante cui si nominavano santi e streghe. Tutto ciò serve a capire che 'togliere il malocchio' non era solo un comportamento limitato al territorio molisano quanto piuttosto una tradizione antica che aveva varcato i confini regionali sin da quando costituiva un patrimonio internazionale.

Decenni addietro il 'salto di qualità' del fenomeno partì proprio dalla 20^ regione. Fu quanto, in Campobasso, una giovane signora predispose un 'kit' pensato proprio al fine di “togliere il malocchio”. Vinse addirittura una medaglia di bronzo in un concorso indetto per la categoria “Cultural Heritage and Culture Industry Design Category” nella più grande e diffusa competizione internazionale di 'design' al mondo ("A’ Design Award & Competition"). Laura (questo il suo nome) era molisana. Grafica a Firenze, sviluppò alcuni progetti legati a tradizioni, superstizioni e cibi molisani. Il 'kit' le permise di conseguire un prestigioso riconoscimento legato alla cosiddetta 'pizza scema' di Baranello (una specialità tipica del giorno di San Martino), ed un altro riferito alla "‘Ndocciata" di Agnone, collegata alla tradizione di deporre una "‘ndoccia" davanti alla casa della donna amata al fine di chiederle in sposa. Il 'ritual-kit' (denominato “Occhiataccia”) le sembrò quello più adatto per essere sottoposto ad una giuria internazionale. “In moltissime culture – raccontò Laura nell'occasione - ci sono riti e tradizioni simili". Una volta sviluppato, il progetto fu prototipo in ceramica da un’Azienda di Vinchiaturo che realizzò prodotto e decorazione, traendone un'attrezzatura anti malocchio dal 'design' raffinato e moderno. Una sorta di 'souvenir' per chi visita il Molise e voglia acquistare un oggetto che racchiude antiche tradizioni di un popolo antico.

Claudio de Luca (1 - continua)

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