"Culto del fuoco": cartolina d’altri tempi in attesa dell’accensione di grandi falò

Radici mar 16 gennaio 2024
Cultura e Società di La Redazione
4min
"Culto del fuoco": cartolina d’altri tempi in attesa dell’accensione di grandi falò ©termolionline.it
"Culto del fuoco": cartolina d’altri tempi in attesa dell’accensione di grandi falò ©termolionline.it

COLLETORTO. Canti, suoni, applausi scroscianti tra tanta cultura sul “Culto del fuoco” e non poche emozioni nel corso di un evento che certamente lascia il segno nel cuore di tutti i presenti. Un appuntamento, pertanto, quello di sabato scorso, che ha aperto svariate pagine di vita sociale e di cultura locale. Tra l’altro gioioso ed entusiasmante. In un clima festoso è salito in alto l’orgoglio della tradizione più amata dalla popolazione. In attesa dei tanti falò, altissimi, dalla forma conica, che brilleranno con le loro lingue di fuoco nel cuore del paese il 17 gennaio, in onore di sant’Antonio Abate, l’iniziativa ha rilanciato il canto della cultura popolare che ruota intorno ai fuochi. Capace di accogliere e tenere insieme i gruppi locali e quelli provenienti da fuori. Piena di gente, nell’occasione, la Sala del Consiglio nel Palazzo Marchesale. In questo contesto di antica memoria le architetture napoletane certamente rendono le manifestazioni più curiose e interessanti. Nel portare i saluti, il Sindaco e la presidente dell’Associazione Culturale “La Coccinella” Camilla Di Rocco si sono soffermati sull’importanza dell’iniziativa. Perché si tratta di una tradizione festosa. Che unisce la popolazione e motiva le persone a stare insieme nel modo migliore. Curioso l’aneddoto del sindaco Mimmo Mele, originario di Canosa di Puglia, che in un lontano passato, proprio nella festa dei fuochi, ha trovato un’accoglienza inaspettata che velocemente lo ha integrato nella vita della comunità. Il fuoco riscalda. Non solo. Ma nel culto del fuoco ognuno ritrova il calore delle proprie radici e del proprio ambiente di vita. “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”.

È questo il messaggio di Gustav Mahler lanciato dal responsabile del Progetto Mangiafuoco. Nicola Frenza nel suo intervento ha spiegato nei dettagli la valenza del progetto teso a valorizzare appunto quel patrimonio di conoscenza immateriale legato alle proprie radici che la maggior parte dei paesi molisani custodisce con orgoglio. E il 2024, anno che celebra appunto il turismo delle radici, nell’ottica di una prospettiva di sviluppo, può diventare l’occasione per ristabilire quei legami tra i tanti italiani residenti all’estero e i luoghi delle loro origini. Una forte spinta all’azione, dunque, per sfruttare con iniziative adeguate, opportunità di ampio respiro nelle realtà che soffrono la piaga dello spopolamento. A seguire lectio magistralis di Paola Di Giannantonio, studiosa delle tradizioni popolari. “I fuochi di Sant’Antonio a Colletorto - ha precisato la Di Giannantonio - conservano frammenti interessanti di un sapere antichissimo legato allo spuntare delle piantine di cereali e legumi in questo preciso periodo dell’anno.

Sono fuochi beneauguranti per il ritorno del calore e di una maggiore luce destinata ad una nuova stagione. 

Necessari per la crescita dei semi sottoterra. L’importanza dell’allungarsi di questa giornata di festa è dimostrata dal proverbio dialettale “Pe Sand’Andone nu passe de vove”. Per questa ragione la festa era amata dai contadini che affidavano al Santo Anacoreta la protezione degli animali. Interessante la forma dei fuochi a Colletorto: grandi coni terminanti con un lungo palo su cui viene sistemata una sedia da cui pendono la testa del maiale, piedi e altre parti del corpo dell’animale che bruceranno assieme alla legna nel corso della serata. In nessun altro fuoco rituale del Molise pare che ci sia questo gesto che ricorda i sacrifici per cui si bruciava un animale per propiziare appunto la pioggia. Un vero toccasana per la crescita dei germogli in una terra spesso avara. Interessanti risultano anche i cibi consumati. In particolare “le scarpelle” a forma di una lunga spirale. Le scarpelle di Colletorto richiamano la forma arcaica del serpente cosmico.

Considerato dai primi agricoltori neolitici della Mezzaluna Fertile il responsabile della rinascita della natura. La stessa parola scarpella potrebbe riferirsi al seme di grano. La sua etimologia “eis karpon” può significare cibo beneaugurante per il grano”.  Tanti simboli in una morfologia che incuriosisce. E accende il pensiero magico di una fantasia piena di vita. Tanti rituali infine che resistono. Nonostante le innovazioni vecchie e nuove. Per non abbandonare il calore delle radici di un passato antico. Luigi Pizzuto, storico del luogo, si è soffermato su alcuni aspetti del cerimoniale che accompagna la composizione dei fuochi. Nella loro morfologia e nello svolgimento della festa è senz’altro forte il legame tra tradizione e innovazione. Elementi fondamentali questi ultimi del divenire di una festa che resiste prevalentemente grazie al lavoro dei tanti giovani del luogo. I contenuti di una civiltà passata risultano leggibili nella cartolina d’altri tempi presentata. Un autentico documento d’archivio. Importante per cogliere gli aspetti di ieri. Dove è possibile leggere, tra l’altro, i costumi, le modalità espressive di generazioni diverse. E un modus vivendi gioviale appartenente alla realtà colletortese. Dulcis in fundo scambio di doni, assaggio delle scarpelle e consegna della storica cartolina ai presenti al suono della tarantella colletortese “Ass’li bballa ”.  Un canto tradizionale che viene da lontano. Che invita tutti a ballare la taranta: giovanotti, signorine e belle signore. A fare “zarabbelle” in particolare chi ha la taranta appunto nei piedi. Da mattina a sera. Come precisa il canovaccio del testo. Destinato a coinvolgere tutti i presenti. Applausi meritati al gruppo dei giovanissimi fisarmonicisti locali guidati da Matteo Forte. Una bella esperienza senz’altro da ripetere.

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