"La patologia del potere" nella satira di Luigino Furbino

Fantasy mar 20 febbraio 2024
Cultura e Società di La Redazione
6min
"La patologia del potere" nella satira di Luigino Furbino ©termolionline.it
"La patologia del potere" nella satira di Luigino Furbino ©termolionline.it

TERMOLI. A metà tra satira politica e racconto fanta-biografico, prosegue la narrazione della figura di Luigino Furbino, da parte del nostro avamposto meneghino Luigi De Gregorio, di cui narra la breve storia da potente Ministro della Repubblica Italia, declinandone “La Patologia del potere”.

Breve storia del potente ministro della Repubblica Luigino Furbino

LA SCELTA DELLA SUA VITA 

Nella famiglia Furbino non si poteva che essere dei professionisti: medici, avvocati, ingegneri.

Tutte professioni rispettabili e rispettate. Ma per Luigino suddetti professioni erano qualcosa di impossibile. Troppo studio e troppa fatica per arrivare alla laurea. Ma poi, anche nell’esercizio di esse, bisognava avere quegli strumenti di conoscenza basilari, senza le quali si entrava nell’orbita della truffa nei riguardi di un paziente, di un cliente, di un progetto.

Pensa e ripensa. Cosa avrebbe potuto fare senza avere abilità o conoscenze specifiche? Per ore seduto su una panchina della riva sinistra del Tevere, per la prima volta nella sua vita, si tormentava: cosa fare senza saper fare nulla e senza avere capacità intellettive particolari.

Passavano i giorni, le settimane, i mesi. Avrebbe perso un altro anno senza iscriversi a nessuna facoltà universitaria. D’altronde non aveva nessuna passione, nessun interesse per nessuna materia umanistica o tecno scientifica. I libri scolastici, che aveva letto in parte e controvoglia, non gli avevano ispirato alcun coinvolgimento in nessuna direzione

Un giorno, l’illuminazione. Per puro caso. Seppur non interessato ai programmi televisivi, sedeva spesso su una di quelle poltrone bergère poste in sala, sempre pronte ad ospitare il suo sedere stanco, mentre la sua mente, se pur accidiosa, restava laboriosa ad inghiottire il mix di evasione stanziale di parole ed immagini della TV.

Ed ecco che Luigino ormai ventiduenne, maggiorenne, disoccupato, distratto, affranto, demotivato, sbadatamente sta guardando un programma in cui un intervistatore sulla piazza di Monte Citorio ferma alcuni parlamentari più o meno noti al pubblico televisivo.

Lo speaker rivolge loro delle domande sulla geografia, sulla storia, sulle biografie di grandi letterati studiosi del passato. Riposte sbalorditive: errori di centinaia di anni rispetto al periodo in cui vissero grandi autori della letteratura, della storia, delle scienze. Ad esempio, in quale periodo visse Dante, il grande poeta nazionale. Ed essi (i parlamentari), frequentatori dei salotti televisivi, mostravano la loro ignoranza sbagliando di alcuni secoli e cercando, invano, di coprirla ridendone.

Ma ancora più sorprendente venne fuori che, in relazione ad una proposta di legge, che quella mattina sarebbe stata votata alla Camera dei deputati, molti intervistati, in gran parte, non conoscevano il contenuto della proposta, ma avrebbero votato sì per ordine del Partito.

In questa occasione la sonnolenza, prodotta solitamente dalla poltrona bergère, questa volta fu bloccata, a seguito di quelle interviste apparentemente lunari. Una forza estranea gli era penetrata nel cervello e, come un demone, ma con vocina avvolgente, affabulante, convincente gli diceva: dato che non hai né la forza, né le capacità per fare il medico, l’ingegnere, l’avvocato, potresti fare il politico.

Luigino Furbino sapeva che i demoni o gli angeli che ti parlano dal di dentro e ti rompono la testa hanno la libertà di dire tutto quello che vogliono, anche le ca**ate più indicibili. Ma il dubbio, se pur non invitato da nessuno, in maniera autonoma e prepotente si insinua in Luigino e gli ripete: "Anche tu non sai far nulla. Quindi anche tu potresti fare il politico”.

Questo refrain divenne sempre più frequente, e più ossessivo, soprattutto dopo qualche settimana. 

Luigino sapeva che nella grande famiglia FURBINO le professioni degne di essere chiamate tali erano: il medico, l’avvocato, l’ingegnere. Al breve elenco si poteva aggiungere, ad una certa distanza, la professione dell’architetto.

Ma quest’ultima, a meno di diventare famosi a livello mondiale, in verità, la ritenevano più vicina a quella di un disegnatore e nulla più. Questa allocazione di secondo livello era dovuta ad un particolare: una firma. Quella di un ingegnere edile che accerta e sottoscrive il progetto artistico dell’architetto, assicurandone, dopo opportuni calcoli, che la costruzione sarebbe stata in piedi.

Certamente i membri della famiglia FURBINO, essendo tutti professionisti, conoscevano il dettaglio non trascurabile della firma dell’ingegnere edile e, proprio per questo, emettevano quell’odore snobistico, quando in circostanze non volute si trovavano di fronte ai tracciatori di linee, la seconda denominazione corrosiva che loro attribuivano agli architetti.

Nonostante l’ipotesi della carriera politica, tuttavia Luigino non volle abbandonare l’idea dell’Università.

E, quindi, si iscrisse ad una facoltà in cui non dovesse trascorrere ore sul cerchio di Mohr per prepararsi all’esame di Scienza delle Costruzioni, o impazzire sul Codice di Procedura Penale. E tuttavia, in perfetta coerenza con le sue capacità intellettive di perfetto cretino, non fece alcuna fatica ad andare fuori corso per tre anni.

Ma, come spesso accade, la fortuna aiuta gli audaci. E ancor più gli imbecilli.

E, quindi, il curriculum "idiotscolastic" di ritardatario di 6 anni di Luigino Furbino si incrociò con il corso della Storia, la rivoluzione del ‘68. Ed il suo libretto universitario, grazie ad alcuni professori favorevoli al voto politico, si riempì anche di voti superiori al 18.

E così, se è vero che sono gli Uomini che fanno la Storia, è pure vero che a volte la Storia crea una generazione (con le dovute eccezioni) di uomini, veri finti intelligenti, di cui il nostro ministro è un vero campione.

Durante la preparazione della sua banalissima tesi aveva letto, casualmente, che i parlamentari avevano una retribuzione totale di circa 12.000 euro al mese (retribuzione, più diaria, più rimborso forfettario) per 13 mensilità. Cioè, da quanto orecchiava in discussioni familiari, più di un libero professionista con competenze specifiche.  E molto più di un manager aziendale, le cui responsabilità reali ed il cui impegno aziendale sono sotto continua pressione.

Insomma, sia che fosse stravaccato sulla bergère di casa o sulla panchina della riva sinistra del Tevere, il pensiero, inizialmente dubbioso, andava man mano liberandosi della nebbia. Ed un giorno, con una trasformazione radicale, e con la laurea raggiunta con tre anni fuori corso, Luigino indossò i panni della raggiante certezza che lo indusse ad affermare ad alta voce farò il politico, farò il politico, farò il politico.

La notizia, sebbene fosse una novità a lui gradita, comportava un problemino: andava comunicata al parentado. Decise di non affrontare l’intera famiglia. Bastava dirlo alla madre e la notizia si sarebbe diffusa. Però lui menefreghista, ma anche un po’ masochista si mise ugualmente ad immaginare ciò che i vari parenti, sorelle, fratelli, nonni, zii, cognati, cugini, avrebbero detto circa la sua vocazione imbevuta di convenienza. Una carrellata di ignominie, il festival delle indecenze verbali. Ma lui rimosse tutto come un killer che cancella le proprie impronte digitali.

In ogni caso lui aveva raggiunto la piena consapevolezza che era l’unico mestiere capace di fare, l’unica professione ad alta remunerazione senza aver conoscenza di nulla, la sola attività della quale non bisogna rendere conto a nessuno, l’unica occupazione con assenteismo da guinness dei primati completamente orfana di controlli.

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