TERMOLI. Sono trascorsi quattro anni dalla morte del maestro Antonio De Gregorio, simbolo di termolesità. A ricordarlo è Stefano Leone:
«La fotografia non è nell’immagine, ma nel nostro rapporto con essa. E così scrivere di Antonio significa riconoscere una geniale e irriverente fonte luminosa, vuol dire mettere a fuoco la memoria su un vero fotografo, così come alcuni sono ministri di un culto religioso o implacabili seduttori della luce. Antonio De Gregorio dunque, uno degli ultimi testimoni e interpreti in una civiltà che per lungo tempo ha affidato alla fotografia il suo pensiero artistico.
La sera il suo studio diveniva un cenacolo di pensatori, amici, appassionati. Da quegli incontri a volte nasceva l’idea e la voglia di plasmare un concetto mediante la macchina. Ho avuto il piacere di collaborare con lui a inizio millennio e ricordo una misteriosa facoltà conoscitiva che non è mai dottrina ne catechismo ma si evolve e si manifesta nei modi e nei rituali di una tela dipinta. Il mio pensiero va anche a Eolo, suo fratello, anch’egli dono preziosissimo per la nostra comunità.
Respira sempre qualcosa di luminoso nel Borgo, una forma vivente che ci aiutato a progredire verso l’arte e la libertà».