Il Molise dei "casini"… se ne rimane lontano dai "casino"

gio 14 aprile 2016
Cultura e Società di Claudio De Luca
4min
Il Molise dei casini… se ne rimane lontano dai casino ©n.c.
Il Molise dei casini… se ne rimane lontano dai casino ©n.c.
LARINO. Quante proposte sono al vaglio per l'apertura di nuove sale da gioco? Per il Molise manco una benché il fenomeno, seppure legato soprattutto al territorio del centro-nord, stia  prendendo piede anche nel resto del Paese. Attualmente i "casino" italiani sono quattro (Sanremo, Venezia, Saint Vincent e Campione d’Italia), ma il Centro-sud si sta muovendo. E' notizia recente la battaglia del Presidente della Giunta della Regione siciliana Crocetta per una casa da gioco a Taormina, promessa già da Berlusconi quand'era Presidente del Consiglio. Ai Molisani, invece, potrebbero arrivare novità soltanto dalla finìtima Puglia (Selva di Fasano) e da Salerno, al vaglio per la costruzione di un grande centro dedicato al gioco. Eppure tempo addietro pareva possibile aprire nuovi "casino". Persino taluni politici molisani avevano ammesso che il futuro del turismo poteva essere giocato sui tavoli del "black jack" e della "roulette". Naturalmente si parlava già di Campitello Matese quale località deputata ad accogliere una tale struttura. Oggi, invece, quando si parlasse della istituzione di nuove "salles", occorrerebbe ammettere apertamente di stare affrontando un azzardo. Statisticamente, i ricavi sono scesi perché il 60% degli appassionati se ne va a giocare all’estero. Però, nonostante valutazioni così pessimistiche, la battaglia per il rilascio di nuove licenze potrebbe pur sempre riaccendersi in Parlamento. Tant'è che, qualche anno fa, Berlusconi promise agli abitanti di Taormina che la "roulette" della locale sala da gioco sarebbe potuta ritornare a girare dopo di essere  restata ferma sin dagli anni del dopoguerra. Il progetto di aprire nuove case era cominciato ad apparire velleitario sin dal 2007, quando un Presidente del Consiglio (Giuliano Amato) ebbe a stroncare sul nascere le aspirazioni di almeno ventuno località. Oggi i numeri indicano che questa attività non può più rivelarsi un "business", ove si consideri che – dal 2004 ad oggi – le sale accreditate hanno perso, in media, il 30% del proprio giro d’affari, mentre i bilanci di previsione indicano ulteriori contrazioni su base annua. I motivi sono diversi, e si concreterebbero: nelle norme antifumo; nell’abnorme diffusione delle "slot-machine" che, per i "casino" valgono il 65-70% della raccolta; e, da buon ultimo, nell’incapacità di attrarre nuovi visitatori. Le statistiche dicono che il flusso degli ingressi sarebbe rimasto costante intorno ai 2-3 milioni, seppure il 60% dei giocatori abituali preferisca frequentare le sale estere. Non a caso la Slovenia vanta dieci case da gioco e la Svizzera venti, quasi tutte poste a ridosso dei confini italiani. Dunque, ci sarebbe poca trippa per i gatti statali. Il fatto è che, se prima il legislatore nutriva ancora tante perplessità (derivanti dalla valutazione dei rischi legati al riciclaggio di danaro sporco; dalla coscienza che, sul gioco d’azzardo praticato illegalmente, prosperava il "racket" dell’usura ed ogni altro reato connesso), oggi chi chiede nuove aperture pensa alla erogazione di un’offerta migliore ed ad una gestione più moderna di questo affare. Secondo l’Associazione italiana per l’incremento turistico (Anit), che riunisce i Comuni autocandidatisi ad ospitare le strutture, il modello del monopolio pubblico ristretto avrebbe mostrato da tempo i suoi limiti. Il fatto è che occorre puntare ad una gestione fatta pure di attività collaterali ed affidata ai privati, con gli enti locali territoriali incaricati soltanto di sorvegliare e di riscuotere le "royaltis". A questo punto, vista la volontà della “base”, tutto potrebbe giocarsi in Parlamento dove, però, alcun deputato (o senatore) molisano risulta avere mai presentato un piano di gioco. Per ciò stesso, almeno per il momento, la 20.a regione sarebbe completamente fuori con riferimento all’apertura di nuovi "casino". Eppure qualche "chance" avrebbe pure potuto averla, cosicché il turismo molisano (se c’è, e se non è solo quello – brevissimo – gestito ogni estate sulla costa) avrebbe potuto giocare pure alla "roulette" per avere l’occasione di introitare dal tavolo verde somme, altrimenti irreperibili, per il vantaggio del Fisco statale e per impinguare le risorse di quello locale. Invece, “rien ne va plus” e dire che il Paese sia arrivato alla frutta diventa una banalità. Una frase del genere sottostimerebbe una situazione veramente difficile. Il Governo, alla disperata caccia di denaro, partendo dal presupposto che, in Italia, la dipendenza dal gioco d'azzardo è quasi una patologia sociale, ha tolto ogni vincolo al gioco d'azzardo, dando il “via libera” ad un migliaio, e più, di nuovi siti di giochi "on line". Con questa misura il Paese ha una "slot machine" (o qualcosa di simile) per ogni 150 abitanti. Attualmente basta digitare sul "p.c." il proprio numero di codice fiscale, possedere una carta di credito e, con un click, si può entrare in un casinò virtuale fornito dalla rete a domicilio, facendo le proprie puntate in totale tranquillità, al riparo da sguardi curiosi e da occhi indiscreti. Secondo i calcoli più recenti, il gioco d'azzardo in Italia rappresenta il 5% del “pil”. Si tratta della quinta industria del Paese e, in definitiva, di un grandissimo affare anche per l'Erario che - dalle sole concessioni alle varie “Lottomatica”, “Sisal” "et similia" - incassa ogni anno 9-10 miliardi di euro a cui, ovviamente, vanno aggiunte le tasse sulle vincite. Le concessioni degli oltre mille siti "on line" contribuiscono a rimpinguare questo enorme tesoro. (Claudio de Luca)

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