Termoli e la Prima Guerra Mondiale

Pagine di storia sab 03 novembre 2018
Cultura e Società di Antonio Smargiassi
3min
La Grande Guerra ©Termolionline.it
La Grande Guerra ©Termolionline.it

TERMOLI. Cento anni fa, esattamente il 4 novembre 1918, il Comandante delle Forze Armate Italiane, Armando Diaz, trasmetteva al Re Vittorio Emanuele III il bollettino della vittoria dell’Esercito Italiano contro quello Austro-Ungarico chiudendolo con queste parole: “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.”

Il detonatore che fece esplodere la guerra in un’Europa in forte tensione, e poi nel mondo, fu l’attentato compiuto da studenti bosniaci a Sarajevo il 28 giugno 1914 che costò la vita all’Arciduca Francesco Ferdinando, erede la trono d’Austria, e alla moglie. L’Austria, attribuendo la responsabilità dell’accaduto al governo serbo, nel giro di un mese, dichiarò guerra alla Serbia in aiuto della quale intervenne la Russia.

L’anno dopo il Governo italiano, stipulato segretamente il Patto di Londra in base al quale, a fronte della discesa in campo e dopo la vittoria, avrebbe avuto il Trentino e l’Alto Adige (o Tirolo meridionale), Trieste, l’Istria, la Dalmazia e la base di Valona in Albania, dichiarò guerra all’Austria: era il 24 maggio 1915. Quella mattina Termoli venne bombardata da una nave austriaca e due mesi dopo da tre cacciatorpediniere.

Quello che si temeva e di cui si parlava nei saloni da barba, in Piazza Mercato e nei caffè stava accadendo. Tra la popolazione inferiore ai 6000 abitanti i più avveduti e istruiti, che leggevano un giornale e che si erano divisi tra neutralisti e interventisti, non vennero colti di sorpresa.

I bombardamenti navali e le domande senza risposta sul futuro gettarono il paese nella disperazione la quale venne attenuata dalle preghiere delle madri i cui figli, soldati di leva, erano stati schierati lungo l’Isonzo e inviati sull’altopiano del Carso. Il pessimo andamento delle battaglie e l’alto numero dei caduti determinò il richiamo alle armi dapprima dei giovani in riserva, dai 20 ai 28 anni, poi fino ai 39. La guerra, con le notizie dei primi morti e con il ritorno di alcuni mutilati, per quanto lontanissima assunse la dimensione di una drammatica realtà.

I termolesi richiamati per i fronti di guerra, poco più di 200, raggiunsero a scaglioni la stazione. Se i più giovani lasciavano genitori e fidanzata, gli altri salutavano moglie e figli. Gli abbracci, prima di salire sulla tradotta, erano accompagnati dalle lacrime ma anche dalla speranza, dei famigliari e degli stessi richiamati, di potere un giorno tornare a casa.

La sconfitta di Caporetto (24 ottobre 1917), spinse il re Vittorio Emanuele III a sostituire il generale Luigi Cadorna con Armando Diaz e il Governo a richiamare alle armi i nati nel 1899, giovani di 18 anni! I quali accompagnati dalla canzone La Leggenda del Piave, vennero inviati lungo il fiume, sul Grappa e sul Montello per rinsaldare lo stremato Regio Esercito che riuscì così a sconfiggere gli Austriaci.

Se all’Italia la guerra costò 650.000 (?) vittime, i caduti termolesi del Regio Esercito furono 36, quelli della Regia Marina 5. Almeno una ventina i giovani che tornarono con una o più mutilazioni.

Don Gennaro Petti, sindaco dal 1921 al 1927, trovò nel forte sentimento patriottico generato dalla guerra il terreno fertile per la costituzione di un comitato che procedesse alla raccolta di fondi (da 5 a 100 lire) per un monumento in onore dei caduti e per non perderne la memoria. I loro nomi sono incisi sulla ‘facciata sinistra’ e su quella ‘posteriore’ del complesso monumentale realizzato dallo scultore Enzo Puchetti e collocato in Piazza Vittorio Veneto. L’inaugurazione, il 18 agosto 1926, avvenne con la presenza del Ministro Giovanni Giuriati, dei Sottosegretari Carusi e Romano, dell’on Leone, del vescovo Bernacchia, di altre Autorità e della comunità termolese per la quale, al di là delle tensioni e delle divisioni portate dal Fascismo, fu un giorno di festa e di unità nel ricordo di chi non tornò più a casa.

Antonio Smargiassi (Scrittore e storico termolese)

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