«More per ogni stagione ed altri raccolti»

Poesie mar 04 febbraio 2020

Termoli È uscita l’ultima raccolta di poesie della scrittrice di Norma Malacrida

Cultura e Società di La Redazione
3min
Norma Malacrida ©TermoliOnLine
Norma Malacrida ©TermoliOnLine

TERMOLI. Dopo la raccolta poetica Oltre il grigio… l’azzurro del 2014, appare ora della poetessa molisana Norma Malacrida la silloge More per ogni stagione ed altri raccolti, suddivisa in tre parti: Poesie haiku, Nuove Poesie e un’Antologia di poesie prescelte da altre sue opere. Le tre sezioni del libro portano in apertura una citazione del poeta indiano-bengalese Rabindranath Tagore (1861-1941) premio Nobel per la letteratura nel 1913, senza dubbio lo scrittore orientale più conosciuto in Europa. I versi riportati dalla poetessa sono significativi del messaggio che ella stessa ci lascia con i suoi testi, ovvero oltre il dolore vi è la speranza di una nuova vita. Così, mentre le prime due citazioni di Tagore contengono le sue amare considerazioni sulla sofferenza umana, i versi dell’ultima superano la stasi del dolore per intraprendere un cammino purificatore e vivere una nuova giovinezza: “Io sono un camminatore / guarderò sempre avanti”. Vi sono tre composizioni ad epigrafe di ciascuna delle tre parti dell’opera che mi paiono significative ed emblematiche del momento esistenziale e spirituale a cui è giunta la poetessa nella cronologia del suo personale cammino e che in parte rappresentano elementi essenziali della sua visione e della poetica che regge la struttura di una scrittura sempre vigile e particolarmente attenta al succedere quotidiano e societario.

Che resterà di me è una poesia intrisa di contenuti esistenziali autobiografici, una sorta di riassunto dei motivi della propria vita e di quel che è stato il suo essere, coniugato nei vari aspetti in cui si è speso il suo impegno nel mondo, quindi essere ed esserci: “Che resterà di me nel fluire del tempo, / di me, dei miei percorsi / per strade acciottolate o viscide d’asfalto /…/ Che resterà di queste mani / sempre aperte a dare / trafitte spesso da spini di ritorni ingrati / ...”. Se questa lirica ha toni accorati e memoriali, E scrivo è decisamente più amara, nella sua sostanza epigrammatica, cioè nel riuscire incisivamente a fotografare con versi brevi e sentenziosi il vissuto della poetessa circa la propria arte e metaforicamente denunziare il ruolo di Cenerentola della poesia nei nostri giorni in cui gli oggetti sono anteposti ai soggetti nei giochi ambigui della vita: “... e scrivo anche se le parole / restano mute a cuori di pietra. / Scrivo per volare / con ali di cera / al riparo di soli fittizi / oltre steccati / e muraglie di ghiaccio. / Scrivo a dispetto / della banalità / di vasi vuoti / impreziositi d’orpelli. // Scrivo per non morire / facendo finta di vivere”. La terza si distacca invece dalle altre due, soprattutto perché non costituisce un commiato dal mondo, ma anzi richiama l’uomo alla lotta per i valori in cui crede, e canta la figura di un testimone del suo tempo che ha pagato di persona per le proprie idee e che l’autrice sente così tanto vicino da definirlo “un sole” da seguire. La poesia Ad Ignazio Silone - che ritengo sia stata posta in chiusura del libro non casualmente - raffigura con molta precisione e verità la vicenda umana, politica ed ideologica dello scrittore di Fontamara, Vino e pane, L’avventura di un povero cristiano, Uscita di sicurezza…, dalla giovinezza con i suoi “cafoni” fino all’esilio. E nello sciogliere un “pianto amico” al grande scrittore abruzzese, la poetessa nei versi finali traccia praticamente anche il suo credo morale e sociale: “... / per coltivare fiori di giustizia, / d’amore per i deboli e gli oppressi, / di solidarietà cristiana, / quella vera che non abbassa il capo / dinanzi ad ogni potere / e continua solitaria la sua lotta / stringendo in mano come arma di pace / il senso solo, raro dell’umano”. La prima parte del volume sembrerebbe una pausa, un’oasi d’immersione nella natura, lontana dal contesto quotidiano con le sue problematiche, proiettata nel sogno e nell’evasione. Ma non è così: gli haiku di Norma Malacrida non si limitano alla contemplazione della bellezza del Creato, ma contengono nella metrica dei tre versi, elementi esistenziali, stati d’animo e riferimenti reali che li rendono, allo stesso tempo, more (sillabe) dedicate a luci ed ombre del paesaggio e a meditazioni personali sui tempi che viviamo. Del resto non si discostano dai canoni dei maestri giapponesi d’ogni epoca: le 17 more (5 nel primo e terzo verso, 7 in quello centrale) sono comprensive anche degli accadimenti umani collegati al vivere naturale. E quindi ci imbattiamo in amicizie che si perdono, vuoti d’anima, vite distrutte in venti di morte per eventi disastrosi, solitudine… ma anche voglia di vita, rinascita di sogni, fame di silenzi, ... tutte quelle contraddizioni filosofiche e storiche della condizione umana […].

Enzo Concardi

Dalla prefazione al libro


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