Vittoriosi e pensierosi, le insidie nel centrodestra

L'analisi mar 27 settembre 2022

Parte prima

Editoriale di Emanuele Bracone
2min
Giorgia Meloni ©Facebook
Giorgia Meloni ©Facebook

TERMOLI. Chi ha vinto, chi ha perso? Spoglio concluso, in città, nel Molise e quel che più conta, soprattutto in Italia. Per la prima volta dal 2008, quando vinse proprio il centrodestra, con l’affermazione del Pdl, poi naufragato nel giro di metà legislatura sullo scontro tra Berlusconi e Fini, il Paese ha un Governo frutto di una chiara indicazione elettorale. Così non fu dal 2011, quando Monti fu chiamato a salvare i conti, soprattutto non avvenne alle politiche del 2013 e 2018, entrambe le volte con un grosso risultato del Movimento 5 Stelle, anche se ottenuto con due leggi elettorali differenti.

Stavolta, nel 2022, dopo le esperienze Conte (1 e 2) e Draghi, maggioranze ad assetto variabile, la prevalenza di una coalizione in modo netto ha sancito quello che potrà ora portare Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, primo caso nella storia repubblicana di un premier donna e per di più di destra.

Ci si interroga su chi ha vinto perché anche coloro che hanno subito le scoppole più pesanti accampano giustificazioni e chi ha ottenuto responsabilità di Governo viene additato come colosso dai piedi d’argilla, specie se questi piedi sono rappresentati da Lega e Forza Italia.

Salvini e Berlusconi non sono alleati facili, semplici, gestibili. Forse più il secondo del primo, addirittura. La storia personalmente vissuta dalla presidente del Consiglio in pectore lo dimostra, il momento in cui forse si capisce bene che “Silvio” volesse cominciare l’Opa nei confronti di Fini è stata l’assemblea programmatica di Verona, primo momento di confronto dopo Fiuggi, siamo alla fine dell’inverno 1998, col centrodestra reduce da sconfitte brucianti, ma da lì cominciò la discesa dei consensi di Alleanza nazionale, che mai più seppe tornare sulle cifre del 1996.

In quella manifestazione Berlusconi portò migliaia di copie del libro nero del comunismo, accreditandosi di fatto come partito più radicale a destra contro la sinistra, sottraendo palcoscenico ad An, questa riflessione nasce anche da una profonda conoscenza di eventi, ambienti e scenari.

Dieci anni dopo nacque il Pdl, destinato a durare poco e a determinare la fine della carriera politica di Fini, certificata dalle elezioni 2013 col flop di Fli.

Per questo affermiamo che più da Salvini, la Meloni deve guardarsi da Berlusconi. La Lega ha problemi differenti da risolvere, quello di cucire un tessuto di amministratori e territori tenuto insieme alla vecchia maniera, forse più dello stesso Pd, partito tutt’altro che leggero, quanto meno al Nord. Il Consiglio federale convocato per oggi a tratti potrebbe essere un processo interno, dopo il crollo di consensi, vaporizzatisi del 70% rispetto al picco delle europee del 2019. Ma non va sottovalutato nemmeno il problema dei moderati, che non hanno raggiunto la soglia di sopravvivenza dell’1%, poiché in questa compagine ci sono risorse e riferimenti importanti dello schieramento, basta citare Toti, Brugnaro e Lupi. Insomma, centrodestra vittorioso sì, ma pensieroso.

A blindare l’avvio della legislatura, a parte il senso di responsabilità in un contesto così complicato, anche la composizione meno estrema dei gruppi parlamentari, con azzurri e leghisti maggiormente rappresentati rispetto alle percentuali guadagnate (o perse) nelle urne del 25 settembre, una mappatura che impegnerà tutti loro a dimostrare che il voto sia stato più di proposta che di protesta, sotto gli ingombranti riflettori comunitari.

Parte prima

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