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domenica 24 Agosto 2025
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I petrolieri navigano nell’oro. Ma lo Stato (che concede la ricerca) no!​

TERMOLI. I petrolieri navigano nell’oro. Ma lo Stato (che concede la ricerca) no!

Secondo le testate specializzate le previsioni sul prezzo del petrolio quest’anno andranno su e giù. Cosicché, se nel 2018, ha instillato dubbi, per le quotazioni di Brent e Wti, delineare panorami, manco per il 2019 il compito è semplice; e gli osservatori si suddividono tra ottimisti e pessimisti quando vanno alla ricerca di stime per l’andamento economico. Tra i pareri più accreditati al riguardo, le testate a Stampa citano quello di Morgan Stanley che ha scelto di rivederle al ribasso. Ma, anche secondo altri esperti, l’oro nero non riuscirà a sfruttare totalmente l’ultimo accordo Opec sui tagli alla produzione, rendendo inutile e limitato qualsiasi tentativo rialzista. Lo scetticismo ha determinato il taglio delle stime sul greggio da 78 a 68 dollari al barile, col sovrappiù che – nei prossimi trimestri – il prezzo non riuscirà più a riportarsi sui massimi del 2018.

Però sarà bene precisare che chi vive di oro nero sa bene che i profitti sono relativi. In effetti, per certi imprenditori, contano solo i superprofitti; e così qualche Azienda ha sottolineato di avere conseguito lievitazioni pari al 28% dell’utile netto, e di avere oltrepassato la soglia dei 12 miliardi di euro di profitti. Si tratta della ‘major’ francese Total che produce ben di più e soprattutto a costi competitivi, al punto da registrare – nel 2018 – un livello di produzione di quasi 3 milioni di barili equivalenti di petrolio al giorno. Nel 2019 è stata prevista una crescita maggiore, pari al 9%. Poi ci sono grandi progetti in Australia, in Russia, in Nigeria ed in Angola; e si tratta di attività che faranno accelerare ancor più gli introiti. Anche i concorrenti hanno conseguito risultati eccezionali. Per esempio Shell e Bp hanno raddoppiato i propri profitti, arrivando a 23,4 ed a 12,7 miliardi; Chevron è salita del 61,2% (14,8 miliardi).

Per quanto riguarda ExxonMobil, la crescita è stata più modesta (5,7% per un risultato netto di 20,8 miliardi di dollari, ma il texano può vantare un fatturato vicino a 266,1 miliardi di euro). Complessivamente, i profitti del club dei 5 big succitati hanno superato gli 80 miliardi di dollari, superiore alle attese degli analisti. Pure tra le compagnie minori, i risultati sono stati positivi: la norvegese Equinor ha registrato un utile netto di 7,5 miliardi di dollari (+64%). L’innalzamento del prezzo del petrolio nel 2018 sarebbe dovuto al miglioramento della redditività. L’anno scorso il greggio oscillava fra 50 e 86 dollari, con una media di 71 dollari, in aumento del 31% sul 2017, secondo quanto riferito da “Le Figaro”. La maggiorazione ha avuto effetti positivi sulle Compagnie ad ogni livello: dalla vendita dei barili alla raffinazione ed alla messa sul mercato dei prodotti. Per il 2019 gli scenari sono incerti, come di sovente accade per il prezzo del petrolio. Quello del barile potrebbe restare elevato sotto la pressione delle sanzioni americane contro l’Iran, la politica a geometria variabile dell’Opec e le incertezze della crescita.

Se il panorama è questo, le Compagnie stanno molto attente alla gestione dei costi. A viaggiare col vento in poppa sono anche le compagnie petrolifere di Cina e Russia (che ha grandi riserve di gas, petrolio e carbone). L’ex Impero di Mezzo, invece, è sempre più dipendente (il tasso di dipendenza ha raggiunto il 68% per il petrolio e il 45% per il gas) e deve essere sempre più sicura relativamente agli approvvigionamenti. La strategia di espansione è a misura della propria voracità: il consumo di petrolio in Cina è cresciuto del 54% e la domanda di gas è raddoppiata. Le grandi compagnie cinesi (PetroChina ha estratto più di 2 milioni di barili, Sinopec e Cnooc sono ultra-aggressive sui mercati internazionali con il sostegno di Pechino). Quanto alla russa Rosneft, ha messo a segno un risultato netto di 549 miliardi di rubli (7,3 miliardi di euro) e un fatturato di 110 miliardi di euro. Gazprom ha esportato verso l’Europa 201 miliardi di metri cubi. Qual è il problema? Siamo in un settore dove c‘è chi guadagna a profusione (i titolari di concessioni) mentre Stato, Regioni e Comuni (ciascuno per la sua parte) si accontentano delle briciole.

Claudio de Luca