Il peso dell'auto nell'industria del Sud e le conseguenze dello stop alla Gigafactory

Il rapporto Svimez sab 30 novembre 2024
Lavoro ed Economia di La Redazione
10min
Lo stabilimento Fca-Stellantis di Termoli ©TermoliOnLine
Lo stabilimento Fca-Stellantis di Termoli ©TermoliOnLine

TERMOLI. L’automotive nel Mezzogiorno: nel rapporto dell'associazione Svimez si evidenzia anche l'impasse subita dalla Gigafactory.

In questo quadro di difficoltà dell’industria europea ed italiana dell’Auto, il peso dell’industria automobilistica del Mezzogiorno è ancora molto rilevante, soprattutto se ci focalizziamo sulla fabbricazione di autoveicoli. Nel 2023, l’82% della produzione nazionale di autoveicoli (751 mila) ha avuto luogo negli stabilimenti situati a Pomigliano, Melfi, e Atessa, che hanno prodotto 615 mila autoveicoli.

Nello stabilimento abruzzese di Atessa, si concentra l’intera produzione nazionale di veicoli commerciali leggeri, che nel 2023 ha superato le 230 mila unità (+12% sul 2022), lontana dal picco di 400 mila unità del 2017, ma pari al 31% della produzione complessiva di autoveicoli. Nelle regioni del Sud, si concentra dunque la presenza dei grandi impianti di produzione finale, frutto dello storico processo di “meridionalizzazione delle produzioni Fiat”, iniziato già negli anni ’70.

Questo tratto è particolarmente marcato in Molise e in Basilicata, dove gli addetti di Termoli e Melfi rappresentano rispettivamente l’82% e il 79% del totale, mentre Campania e Abruzzo – ma anche Puglia e Basilicata - sono caratterizzate anche dalla presenza di un significativo indotto della componentistica, oltre ai poli della Val di Sangro e Pomigliano. Da un lato, la rete della componentistica del Mezzogiorno è comparativamente meno sviluppata rispetto alle regioni del Centro-Nord, componendosi principalmente di piccole e medie imprese subfornitrici dei grandi player nazionali e internazionali o di imprese multinazionali estere, le cui attività di R&S rimangono localizzate nelle sedi centrali.

Dall’altro, nel 2021 la componentistica occupava ancora più di 20 mila addetti nelle regioni del Sud.

La prospettiva di filiera ci consente di inquadrare ulteriormente la rilevanza economica dell’Automotive nel Mezzogiorno. La filiera estesa nel Mezzogiorno vale quasi 13 miliardi in termini di valore aggiunto (Tab. 4), di cui più di quattro quinti in Campania (29%), Puglia (20%), Sicilia (22%) e Abruzzo (13%). Gli occupati direttamente o indirettamente riconducibili alla filiera Automotive sono circa 300mila, più della metà dei quali in Campania (30% degli addetti) e Puglia (21%), seguite da Sicilia (21%) e Abruzzo (11%). In valori assoluti, da evidenziare anche il dato occupazionale del Molise (4.779), così della Basilicata (8.224).

Data la rilevanza dell’Automotive per il tessuto industriale e occupazionale del Mezzogiorno, le recenti difficoltà dell’industria automobilistica nazionale ed europea destano particolari ragioni di preoccupazione. Dopo la crescita del 2023 (+9,6%), nei primi nove mesi del 2024 la produzione di autoveicoli italiana si è fermata a 387 mila unità, con un crollo del -32% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Gli stabilimenti del Mezzogiorno forniscono l’89% degli autoveicoli prodotti in Italia, ma perdono più di 100 mila unità (-25%). Con tutta probabilità, il 2024 si chiuderà sotto la soglia del mezzo milione di autoveicoli, riportando la produzione nazionale ai livelli del 1959. La situazione è particolarmente grave per il Mezzogiorno, non solo per lo stabilimento di Melfi, che ha visto una perdita di quasi 90 mila unità (-62%), ma anche perché tutti gli stabilimenti – compresi Pomigliano (-6%) e Atessa (-10%), in crescita nella prima parte dell’anno - sono entrati in territorio negativo, con cali che interessano sia gli autoveicoli che i veicoli commerciali. Rispetto ai livelli del 2019, la riduzione dei volumi è ancora più severa, per Pomigliano (-8%), ma soprattutto Atessa (-32%) e Melfi (-73%).

Ad aggravare il quadro, i vertici di Acc – joint venture di Stellantis, Mercedes e Total - hanno sospeso l’investimento da oltre 2 miliardi per la realizzazione della gigafactory per la produzione di batterie a Termoli, che avrebbe dovuto occupare circa 2 mila addetti. I fondi del Pnrr che vi erano stati destinati (250 milioni circa) attraverso contratto di sviluppo sono stati dirottati altrove, a causa dell’impossibilità di spenderli entro il 202639.

Il significativo ridimensionamento produttivo di Stellantis ha già avuto e avrà pesanti ripercussioni sui livelli occupazionali, portando allo sciopero generale del comparto Automotive proclamato dai sindacati di categoria nell’ottobre 2024. Se dal 2014 si stimano circa 11 mila addetti in meno nel complesso degli stabilimenti Stellantis, nel solo 2024 sono previste quasi 4 mila uscite con incentivazione all’esodo, a fronte del blocco delle assunzioni. Nella sola Melfi, le incentivazioni all’uscita dal 2021 hanno riguardato 1.700 persone, riducendo l’occupazione nello stabilimento a poco più di 5.400 addetti (prima della pandemia erano più di 7 mila).

Questa situazione complessiva si ripercuote sull’intero indotto, anche extra-regionale, dato che lo stabilimento fa leva su una rete di componentistica diffusa nei vicini territori di Puglia e Campania, oltre ad attivare una rilevante migrazione lavorativa dalla Calabria. Per quanto riguarda Pomigliano, lo stop previsto da Stellantis per novembre e la produzione dal 2025 della Panda mild hybrid presso lo stabilimento serbo di Kragujevac rischiano di spiazzare la produzione dello stabilimento che f inora ha tenuto maggiormente in termini di volumi e occupazione40. Per di più, i circa 2 mila addetti ancora occupati a Termoli producono motori prevalentemente destinati a rifornire proprio lo stabilimento di Pomigliano, rischiando di vedersi coinvolti in un eventuale ridimensionamento dei volumi campani.

A fronte della capacità produttiva di Termoli in termini di motorizzazioni ibride, Stellantis ha deciso di portare tutte le motorizzazioni presso lo stabilimento francese di Tremery-Metz, al punto che alcuni addetti molisani sono in trasferta presso tale stabilimento. Data la crisi del comparto, il biennio 2023-2024 è stato segnato da un confronto acceso tra il Governo italiano – il Mimit in particolare - e Stellantis, circa le cause della crisi, le misure da adottare e le responsabilità dell’unico grande costruttore presente in Italia. Se il Ministero ha rimproverato in diverse occasioni a Stellantis di non mantenere i propri impegni rispetto al target di 1 milione di veicoli entro il 2030, Stellantis - attraverso il suo Ad Tavares - ha sostenuto che il trend della produzione segue necessariamente quello della domanda, in forte rallentamento in Italia e in Europa, suggerendo di finanziare incentivi pubblici agli acquisti di autoveicoli, introdotti a giugno 2024 dal Governo.

Se spostiamo il focus sulle dinamiche del mercato interno, gli ultimi dati sulle immatricolazioni ci dicono che il mese di agosto è stato caratterizzato da un marcato rallentamento (-13%), dovuto proprio alla fine dell’effetto incentivi, che si è concentrato sui mesi di giugno (+15%) e luglio (+5%), consentendo allo stesso tempo alle immatricolazioni di rimanere in territorio positivo nei primi otto mesi dell’anno (+3,8% sul 2023). I dati di settembre hanno confermato il trend di rallentamento (-11% sullo stesso mese del 2023), portando le immatricolazioni dei primi nove mesi poco al di sopra quota 1,2 milioni, riducendo ulteriormente il margine di crescita rispetto allo stesso periodo del 2023 (+2,1%). Se la dinamica del mercato non dovesse subire scossoni, il consuntivo a fine anno potrebbe attestarsi intorno a 1,6 milioni di nuove immatricolazioni, con una crescita moderata sul 2023 (1,56 milioni), sebbene ancora al di sotto dei livelli del 2019 (-18,5%). La modesta crescita delle immatricolazioni complessive è diversificata a seconda del marchio preso in considerazione. Se ci focalizziamo sul Gruppo Stellantis41, si segnala una riduzione significativa delle immatricolazioni ad agosto e settembre 2024, con un calo rispettivamente pari al -32% e -34% rispetto agli stessi periodi del 2023. Nei primi nove mesi dell’anno, le immatricolazioni del Gruppo si sono attestate di poco sopra alle 365mila, con un calo del -6% rispetto alle quasi 390mila del 2023, che ha ridotto la quota di mercato di Stellantis dal 33% del 2023 al 31% del 2024.

L’Ad Stellantis durante la recente audizione parlamentare ha sostenuto che se l’Italia fosse in grado di fornirgli un milione di clienti, Stellantis sarebbe in grado di centrare il target di un milione di autoveicoli prodotti in Italia. Se osserviamo i dati, tuttavia, ci rendiamo conto che il rallentamento delle vendite del Gruppo in Italia non è tale da spiegare il crollo dei volumi produttivi. Per di più, a prescindere dagli incentivi e dalla recente debolezza della domanda, la riduzione delle immatricolazioni del Gruppo avviene nel quadro di un mercato nazionale che dovrebbe 176 chiudere l’anno in positivo. Stellantis sta gradualmente perdendo quote del mercato italiano, mentre la produzione dei modelli più rilevanti è stata delocalizzata, minacciando i volumi produttivi nazionali e l’occupazione negli stabilimenti e nell’indotto. La presenza di un unico costruttore sul territorio rappresenta un unicum a livello europeo e ha costituito fino a oggi un limite alla capacità del Governo italiano di influenzare lo sviluppo del comparto nazionale, che fa registrare una quota del venduto di origine domestica tra le più basse d’Europa (17% contro il 19% della Francia e il 31% della Germania). Un’ultima considerazione riguarda lo sviluppo infrastrutturale indispensabile rispetto alla crescita del mercato elettrico nazionale e meridionale. La diffusione delle colonnine di ricarica, oltre a essere eterogenea tra gli Stati membri dell’Ue, risulta estremamente differenziata a livello regionale: oltre la metà delle infrastrutture di ricarica pubbliche si concentrano nel Nord Italia (58%), il 19% nelle regioni del Centro e solo il 23% nel Mezzogiorno42. Senza un adeguato sviluppo infrastrutturale, difficilmente la penetrazione dei veicoli elettrici potrà aumentare in Italia e al Sud, a prescindere dagli incentivi pubblici alla domanda.

La transizione all’elettrico e il processo di digitalizzazione stanno trasformando l’industria automobilistica globale, ridefinendo gli equilibri produttivi e tecnologici. Se raffrontiamo i dati sull’evoluzione della produzione e della domanda globale non osserviamo la tanto temuta invasione del mercato europeo da parte dei costruttori cinesi, i quali stanno beneficiando piuttosto della poderosa crescita del proprio mercato interno. Allo stesso tempo, c’è il timore che la transizione all’elettrico possa tradursi in una crescita delle quote di mercato cinesi in Europa, a causa del significativo vantaggio tecnologico accumulato lungo la filiera elettrica. Nella prospettiva delle multinazionali europee, quello cinese è un mercato irrinunciabile, dove si determineranno i futuri trend di consumo, produzione e innovazione. Per sopravvivere in quel mercato sono stati programmati ingenti investimenti, mentre non si esclude un ridimensionamento degli stabilimenti produttivi in Europa.

D’altra parte, la capacità degli Stati europei di governare le trasformazioni del comparto Automotive e di gestirne le ripercussioni occupazionali ed ambientali è limitata - dato l’abbandono della programmazione pubblica e delle politiche industriali verticali negli ultimi decenni - ed eterogenea, vista la variegata capacità fiscale a disposizione. Le politiche pubbliche finora implementate hanno sortito effetti temporanei, senza intervenire sui problemi strutturali. Senza adeguate politiche industriali finalizzate allo sviluppo della filiera dell’elettrico, gli incentivi alla domanda rappresentano un palliativo, di cui beneficiano soltanto i costruttori. La richiesta italiana di istituire un Fondo europeo per la filiera e per i consumatori che acquistano vetture elettriche prodotte in Europa, secondo il principio del local content, è un primo passo nella giusta direzione, ma non è sufficiente. Se l’obiettivo è il rilancio dell’industria automobilistica in Europa e la difesa dell’occupazione e dell’indotto, è necessario un deciso cambio di paradigma che passa innanzitutto da un piano strategico dell’Unione Europea – l’unica dimensione in grado di garantire le economie di scala necessarie e il coordinamento e degli interventi – finalizzato a rilocalizzare la produzione, colmare il gap tecnologico e garantire l’adeguato sviluppo infrastrutturale. Dal punto di vista del divario di competitività, le misure sull’energia a supporto della filiera – come la proposta di includere il settore tra gli energivori - possono rappresentare una soluzione di breve termine, ma è indispensabile intervenire sulla struttura dei prezzi, aumentando l’autonomia energetica europea in termini di approvvigionamenti e riformando la struttura del mercato dell’elettricità e il meccanismo di determinazione dei prezzi, in particolare il sistema di tariffazione marginale.

Alla crisi di lungo corso dell’Automotive italiano, segnata da un ridimensionamento della produzione di autoveicoli e dall’integrazione della componentistica nazionale nella filiera tedesca, si interseca una nuova crisi di dimensione europea. Nel caso italiano, la rilevanza delle politiche pubbliche è oggi ancora più marcata, considerato il crescente disimpegno dell’unico costruttore nazionale rispetto al mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali, che ha portato negli ultimi mesi a uno scontro anche con le imprese della componentistica. Se questo processo sarà lasciato a sé stesso, le ripercussioni sull’economia e sul sistema produttivo italiano saranno rilevanti, specialmente nel caso del Mezzogiorno, la cui filiera è ancora legata a doppio filo con gli stabilimenti Stellantis. Nel breve periodo, la rilocalizzazione dei modelli strategici – a partire da quelli di largo consumo, come la Panda – giocherà un ruolo cruciale rispetto alla difesa della filiera meridionale. Nel generalizzato rallentamento del mercato elettrico (BEV e PHEV) europeo, le produzioni mild hybrid potrebbero fornire il tempo necessario a sviluppare sul territorio la produzione di batterie e la relativa filiera, così come un’adeguata infrastruttura di ricarica. Se allarghiamo l’orizzonte temporale, il potere negoziale dello Stato può aumentare solo grazie all’ingresso di nuovi attori sul territorio nazionale. L’ingresso di costruttori esteri e la produzione – non il mero assemblaggio – di veicoli elettrici può rappresentare una opportunità di sviluppo per il Mezzogiorno e non solo un’operazione di carattere difensivo, anche al fine di recuperare terreno sul versante dell’innovazione e delle catene di fornitura delle batterie.

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