Michele Macchiagodena tra Termoli Jazz e Associazione Jack

L'intervista lun 04 gennaio 2021
Spettacolo di La Redazione
9min
Michele Macchiagodena ©Italiajazz
Michele Macchiagodena ©Italiajazz

TERMOLI. «Il Termoli Jazz Festival sta diventando grande. Questa è la mia intervista per Italia Jazz dove parlo del Festival, di Jack, dal MACTE, del Premio Termoli e di quanta cultura Termoli riesce a produrre e di che livello, se "crede in se stessa". Essere in un'associazione che riunisce i migliori festival italiani è importante per la promozione non solo del festival, ma soprattutto per la città. Continuate a seguirci, a farci sentire la vostra vicinanza e non smetteremo mai di spendere ogni briciolo di energia per la musica di qualità e la cultura». E' quanto ha postato Michele Macchiagodena.

Continua il racconto dei soci della I-Jazz attraverso la voce degli stessi protagonisti. Corrado Beldì, presidente dell'associazione, ha intervistato, l'ultima settimana dell'anno, Michele Macchiagodena, direttore artistico del Termoli Jazz Festival, entrato a far parte della rete nazionale dei festival jazz a fine ottobre 2020.

Ci racconti come nasce Termoli Jazz?
"Nasce da vari “cicli” di eventi jazzistici che si sono svolti nella città negli ultimi 40 anni (Termoli Jazz Podium, ConcerTer, Festival Adriatico delle Musiche), che hanno ospitato, tra gli altri, Lee Konitz, Joe Zawinul, Joe Lovano, John Surman, Steve Swallow, Paul Bley, Franco D’Andrea, Charlie Haden, Hiromi Uehara, Gerald Clayton, John Taylor, Rosario Giuliani, Noah, Manhattan Transfer, Tord Gustavsen, Rossana Casale, Stefano Di Battista, Incognito, Kenny Garrett, Sergio Cammariere, Fabrizio Bosso, Chiara Civello, John Patitucci. Grandi ospiti e cicli di eventi di “salute cagionevole” poiché, in passato, sono rimasti vittime di “correnti” politiche, e lo scorso anno, del Covid. Dal 2014 al 2018 mi sono trovato nella posizione di delegato alla Cultura nello staff del Sindaco della mia città e ho “rianimato” l’evento, con il nome Termoli Jazz Festival, nella splendida location di Piazza Duomo nel Borgo Antico, dirigendo anche l’edizione 2019, fino allo stop causato dal Covid".

Quali sono gli obiettivi per i prossimi anni?
"Uno è senz’altro quello di portare il festival in una nuova direzione, più attenta ai giovani talenti italiani e a nuove proposte e generi, figli dalle contaminazioni, a cui il Jazz è geneticamente aperto. Tutto ciò senza però lasciar da parte i grandi protagonisti, italiani e stranieri, del Jazz più canonico. La contaminazione è anche il “mezzo” con cui vogliamo perseguire il secondo, importantissimo, obiettivo: quello di incrementare la conoscenza della musica Jazz tra i giovani e giovanissimi, producendo workshop e seminari (per questo il recente provvedimento ministeriale per la reintroduzione della musica Jazz nei licei musicali è un vero conforto), ma anche tra le fasce d’età più adulta, con iniziative quali proiezioni di film e biopic sul jazz e sulle sue grandi figure.

Quali sono i rapporti che avete con il territorio?
"Termoli ha uno “zoccolo duro” di appassionati, e anche nella nostra regione ci sono tanti altri festival. Il Termoli Jazz Festival ha la fortuna di svolgersi in una splendida città turistica, con un bellissimo borgo marinaro, mare azzurro, spiagge dorate e una cucina di mare da leccarsi i baffi. Inoltre ci dà grande conforto il supporto che ci viene dagli operatori turistici e della ricettività sia alberghiera che della ristorazione, che ci consente di alleggerire il budget e di “coccolare” gli artisti. Il festival è importantissimo per la promozione della città e del territorio costiero, poiché attrae un turismo di qualità, non di massa, più affine alle caratteristiche del nostro territorio, ricco di prodotti enogastronomici unici. E’ diventato un vero e proprio appuntamento fisso della programmazione estiva e la risposta, sia dei turisti che dei residenti è sempre entusiasmante. Termoli (e il festival) purtroppo paga un grave handicap, la totale mancanza di spazi al chiuso per la cultura e gli eventi. Termoli non ha un teatro o un auditorium degni di questo nome. Per questo le attività sono concentrate solo nel periodo estivo".

Ci racconti qualcosa del Macte e del Premio Termoli, altro evento culturale di cui ti sei occupato?
"Il Macte - Museo di Arte Contemporanea di Termoli è il primo museo della Città di Termoli ed è aperto dal 2019. Un museo che può vantare un’importantissima collezione di oltre 500 opere, d’arte contemporanea italiana, dei periodi dell’informale, astrattismo, pop-art, arte cinetica e tutto ciò che n’è seguito. Schifano, Accardi, Novelli, Festa, Marotta, Angeli, Dorazio, Uncini, Lombardo, Scirpa, Chiari, Pinelli, Emblema, Vigo, Dadamaino, Soto, sono solo alcuni degli artisti presenti in collezione. Questa collezione ha una storia curiosa: sono opere raccolte mediante acquisizioni e donazioni degli artisti, in oltre 60 edizioni del “Premio Termoli” che si svolge appunto a Termoli, incessantemente dal 1959 fino ad oggi.
Sono figlio e fratello di artisti e per me è stata una vera ossessione “salvare” queste splendide opere dall’oblio (e da condizioni di conservazione a dir poco disastrose) dal quale venivano tirate fuori solo occasionalmente. E’ stata l’altra parte del mio sforzo di contribuire a creare realtà culturali nella mia città. Ne ho creato il nome, progettato il marchio, studiato il deposito, il percorso espositivo e l’illuminazione, progettato la recinzione fatta ad hoc, e non è stato facile. Ho anche prodotto, sempre per conto dell’Amministrazione, tre edizioni: la 59a curata dal mentore del premio il M° Achille Pace; la 60a, curata da Anna Daneri, con vincitore Riccardo Baruzzi e la 61a; curata da Attilia Fattori Franchini, con vincitrice Benni Bosetto. Dopo un periodo di “avviamento” con la direzione provvisoria della Prof.ssa Laura Cherubini, il Macte è ora gestito dalla Fondazione Macte e dalla nuova direttrice artistica Caterina Riva, e un board scientifico di tutto rispetto che comprende, tra gli altri, Vincenzo de Bellis e Andrea Viliani. Perdonatemi il francesismo, è una vera figata! Dopo 60 anni finalmente un grande patrimonio storico e artistico, oltre che sociale (l’arte visiva ha sempre avuto un enorme impatto sulla società), è esposto e fruibile definitivamente. Ormai il Macte può camminare con le sue gambe e io ne sono felicissimo. Invito tutti a venire a Termoli a visitarlo".

Ci fai il nome di un artista visivo e di un musicista jazz importanti per te e per quale motivo?
"Senz’altro Mark Rothko. Mi perdo sempre nelle sue campiture, distese di due o tre colori, a un primo sguardo, frutto invece di decine di frenetiche sovrapposizioni di colori diversi, di cui ti accorgi soprattutto nei punti in cui questi colori si “toccano”. E’ questo il momento in cui la mia mente stacca il legame con la razionalità e mi consente di percepire la sua potenza espressiva. Non credo che ci possa essere una trasposizione jazzistica di Mark Rothko più rispondente di John Coltrane. Le opere di Rothko avevano, come lui diceva lui stesso, la breathingness (respirabilità) e Coltrane per i suoi “sheets of sound” “respirava” e molto. Quei lunghissimi temi, apparentemente monotoni, invece fatti di centinaia di note, scale rapidissime, evocativi e ipnotici, sono per me come le potentissime campiture di colore di Rothko. Entrambi sono stati rivoluzionari a livello planetario. Hanno segnato entrambi un punto di svolta definitivo verso altre direzioni. Per questo, per me Blue Train o Blue and Gray sono la stessa emozione".

Prevedete anche relazioni con il mondo del jazz o della musica in generale?
"Non sono un musicista, ma ho ascoltato (quasi) di tutto. La “rivelazione” (quasi come quella di John Belushi) l’ho avuta quando uscì ‘Round Midnight di Bertrand Tavernier al cinema: rimasi estasiato da Dexter Gordon e da cosa e come suonava. Da quel giorno il Jazz è la mia musica. Nell’Associazione Jack ci sono anche Antonio Artese e Luca Ciarla, musicisti, direttori artistici, entrambi di provenienza classica, entrambi anche jazzisti. Per questo i nostri orizzonti sono “open wide”, ma di sicuro il Jazz sarà sempre il nostro core business culturale".

Quali azioni dovremmo fare, a tuo avviso, per portare più musicisti italiani nel mondo?
"Di sicuro le nuove tecnologie permettono a chiunque di farsi vedere dovunque, ma il feeling di un concerto live, che sia in un club o in un teatro, per me è imprescindibile. Mi piace molto la formula del Peperoncino Jazz Festival diretto dall’amico Sergio Gimigliano, che ha una sua stagione negli USA, in cui porta musicisti italiani nei club americani, con la collaborazione di un co-direttore d’eccezione, un certo John Patitucci. Alcuni di quei musicisti sono amici e mi hanno raccontato che suonare nei club oltreoceano ti trasforma, ti fa pensare in modo diverso, si sente che dall’altra parte hai un pubblico che ha il Jazz nelle vene, cosi come noi abbiamo arte e cibo. Ogni festival dovrebbe avere un “twin director”, ma non solo in USA, il mondo è grande. E’ un gran bene che la parola Jazz sia finalmente scritta nei provvedimenti ministeriali, c’è bisogno di un grande sostegno, economico e politico per far conoscere i nostri grandi talenti".

C'è un socio della I-Jazz che segui per la sua programmazione?
"Conosco Paolo Caiani di Ponderosa e il suo JazzMi è un grandissimo festival; Sergio Gimigliano e il suo Festival alla capsaicina, e sono un fan del Locus Festival, nella valle più gustosa del mondo. Esprimere una preferenza “secca” adesso mi è impossibile. Siamo appena entrati in IJazz e voglio prima conoscere tutti gli altri. Quello che invece posso è fare i complimenti a tutti i colleghi direttori di festival, specie dei piccoli centri, perché so bene quanta forza, passione e testardaggine ci vogliono per restare “impermeabili” a certi condizionamenti e nello stesso tempo avere risorse ed energie per fare qualità. Per fortuna che salire sul palco la prima sera e dire “Buonasera a tutti!” ti ripaga di ogni sforzo".

Ci segnali tre nomi interessanti nel panorama del giovane jazz italiano?
"Sto conoscendo tanti nuovi giovani e bravissimi musicisti, anche grazie a I-Jazz. Mi piace moltissimo Sophia Tomelleri. Il secondo è Matteo Mancuso che ho visto a UJ con gli Snips e ho subito portato al Termoli Jazz Festival. Infine, poiché la mia anima “nera” (nel senso dark, non black) spesso viene fuori, cito i Rednecko Plane, due su tre sono sax, ma che ci posso fare se mi piace … Mark Rothko?".

Una nuova idea progettuale su cui dovrebbe concentrarsi I-Jazz, a tuo avviso?
"La creazione di un database ragionato di musicisti e con i loro progetti, basato su un motore di ricerca che non indicizzi e restituisca risultati solo secondo un criterio alfabetico o per strumento, ma con affinità, suggerimenti e proposte rispetto alla ricerca fatta. Una versione "light” di Spotify o iTunes, che mostri ai direttori le “deviazioni” che ci sono sulla strada che stanno percorrendo".

Se il Ministro Franceschini ti dicesse: “posso esaudire un tuo desiderio”, cosa gli chiederesti?
"Perdonatemi, il mio desiderio non riguarda la musica, ma l’arte. Vorrei che non solo il ministro, ma tutto il governo renda tutta l’Italia un museo. Una legge che consenta, da una parte a tutti i comuni, tra i 7309 della penisola, di adeguare un palazzo della città a museo, (illuminazione, condizionamento, sicurezza e sorveglianza) e dall’altra stimoli i musei italiani (con incentivi per direttori, conservatori, restauratori) a svuotare i propri depositi e a distribuire le opere in tutti i piccoli e grandi spazi creati in ogni comune italiano. L’unico paese al mondo che può diventare una nazione-museo è l’Italia. L’arte e la cultura sono il “petrolio” della nostra nazione, ma non abbiamo neanche iniziato a trivellare, o forse, stiamo tappando tutti i pozzi scavati nei secoli passati".

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