Assicurazioni: contrassegno illeggibile

lun 12 novembre 2018
Veicoli al crocevia di Claudio de Luca
3min
Contrassegno assicurativo ©Termolionline.it
Contrassegno assicurativo ©Termolionline.it

Il principio che si intende sostenere di seguito è quello secondo cui il caso di un contrassegno assicurativo posizionato in maniera illeggibile potrebbe tranquillamente essere equiparato a quello in cui tale documento non fosse stato esposto. Ciò posto, si ipotizzi quanto segue: un automobilista mette in dubbio i contenuti della verbalizzazione sottoscritta dai Vigili accertatori, per sostenere – di contro - che il contrassegno era regolarmente esposto, quando - nella realtà - gli agenti non erano riusciti a leggerne i contenuti; cosicché il fatto era sicuramente sufficiente ad integrare gli estremi della violazione prevista (e punita) dall’articolo 181 del Codice della strada. Il caso descritto permette di rilevare la leggerezza con cui a volte chi ricorra affronti un’opposizione per evitare di pagare somme irrisorie, quando – ‘ex adverso’ - c’è una dichiarazione ‘in contrario di due pubblici ufficiali; e ciò sia detto senza togliere alcunché al diritto di chiunque di far valere le proprie ragioni, reali o presunte tali che possano essere. Nella realtà, sono proprio casi del genere quelli che possono nascondere insidie impensabili e portare addirittura ad incorrere in una querela di falso, con il rischio di essere denunciati per calunnia.

L’ipotetico verbale potrebbe essere relativo all’accertamento della violazione dell’art. 181 del dlgs n. 285/1992 (Cds). E’ il caso in cui il contrassegno assicurativo del veicolo non risulti leggibile ai pubblici ufficiali che, di conseguenza, procedono alla redazione del verbale, mentre il ricorrente sostiene che il documento è chiarissimo; e che, del fatto, possono rendere testimonianza coloro che lo stavano accompagnando a riprendere il veicolo, dopo essersi recati a pranzo insieme, Dal canto loro, i Vigili confermano che, come specificato in motivazione al verbale di accertamento (costituente atto pubblico, facente fede dei fatti in esso descritti sino a querela di falso), il contrassegno non poteva essere letto in relazione ai suoi dati essenziali, stante la posizione in cui si trovava e la presenza di un vetro oscurato che ne impediva la lettura. Per ciò stesso, i verbalizzanti, avevano ritenuto: 1) che, il contrassegno costituisce l’attestazione che rende pubblica e accertabile la copertura assicurativa; 2) che, quindi, la sua esposizione, sancita come obbligatoria dall’art. 181 del dlgs n. 285/1992, è finalizzata in tal senso; 3) che una non corretta esposizione, tale da rendere inefficace la sua funzione, lo qualifica ‘tamquam non esset’.

Infatti, nel verbale di accertamento era stata riportata la dicitura “sostava senza esporre il contrassegno comprovante la copertura assicurativa”, con ciò intendendo che sul veicolo poteva essere esposto qualsiasi documento, ma che quello in ostensione con la modalità descritta non comprovava alcunché. Difatti non era stata accertata la violazione dell’art. 193, prevista per l’assenza della copertura assicurativa, quanto piuttosto l’ipotesi più mite, per chi non la comprova, della non corretta esposizione del contrassegno. Infine occorre rilevare: a) che il verbale redatto dai pubblici ufficiali fa fede sino a querela di falso dei fatti in esso attestati. Ragion per cui non si può certo ritenere che la non-leggibilità attestata nell’atto pubblico possa essere considerata una libera valutazione degli agenti, piuttosto che la constatazione di un dato di fatto; b) che le due testimonianze citate nulla aggiungono all’accertamento, anche perché i due testimoni indicati dal ricorrente potrebbero riferire solo una situazione successiva, che ben potrebbe essere stata diversa da quella accertata nel verbale.

Come si è avuto modo di anticipare, quello esposto è uno dei casi più classici in cui occorrerebbe evitare di ricorrere in opposizione; perché, se è giustificato doversi difendere, è pur vero che sia necessario serbare un tale comportamento evitando di accusare dei pubblici ufficiali per fatti non commessi. E, poiché, in casi del genere l’ònere della prova incombe su chi ricorre, bisogna tenere bene da conto che gli agenti accertatori sono pubblici ufficiali le cui dichiarazioni sono fidefacenti, almeno sino a che – previa presentazione di querela di parte – non si riesca a dimostrare il contrario. Insomma, il rischio è alto perché si potrebbe andare incontro ad una querela di falso, finendo con l’essere denunciati per calunnia.

Claudio de Luca

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